È muro contro muro tra Italia viva e il resto della maggioranza sulla cabina di regia pensata da Palazzo Chigi per gestire i progetti del Recovery plan. Dopo un travagliato consiglio dei ministri, iniziato con quattro ore di ritardo, sospeso per due volte e terminato in anticipo perché la ministra Lamorgese – nel bel mezzo della riunione – ha appreso di essere positiva al Covid, i rapporti tra gli alleati sono ancora tesissimi. Tanto che la renziana Teresa Bellanova, in linea con quanto anticipato da Matteo Renzi sui giornali, ha fatto sapere che se lo schema di governance piramidale pensato da Conte verrà inserito sotto forma di emendamento alla legge di bilancio il suo partito non lo voterà. Provocando di fatto la crisi di governo. Ad alimentare ulteriormente le tensioni c’è l’altra grande partita della maggioranza: il voto sulla riforma del Mes previsto per mercoledì. Da un lato il Movimento 5 stelle è ancora diviso dal dibattito interno, tanto che il ministro Luigi Di Maio torna ad attaccare: “Chi sta provando a dividerci su questo tema, agisce con l’intento di far cadere Conte e il governo per mettere le mani sui miliardi del recovery fund. Noi ovviamente non glielo permetteremo”. Dall’altro lato c’è Italia viva, convinta anche su questo a mettersi di traverso. Anche se fa sapere che non creerà “problemi” in Aula, la risoluzione sulla riforma depositata in Senato porta in calce le firme di Pd, M5s e Leu, ma non quella del capogruppo dei renziani Davide Faraone.
I prossimi giorni sembrano quindi lastricati di rischi per il governo. A partire dal nodo della gestione del Recovery: l’idea di Palazzo Chigi per la gestione dei 209 miliardi in arrivo dall’Ue è quella di mettere a capo delle operazioni un Comitato esecutivo composto da presidente del Consiglio, ministro dell’Economia e ministro dello Sviluppo economico, con il ministro degli Affari europei (d’intesa con il responsabile della Farnesina) a fare da referente unico con la Commissione europea. Sotto questa struttura sono previsti 6 supermanager, uno per ogni maxi-settore del Recovery, che potranno avvalersi di un’organizzazione che segua lo sviluppo dei progetti. In aggiunta, c’è un Comitato di responsabilità sociale, composto da rappresentanti delle categorie produttive, del sistema dell’università e della ricerca scientifica. Tutto bocciato da Italia viva: “Ad una prima sommaria lettura, la bozza sulla governance del Recovery”, ha tuonato Bellanova prima di sedersi al tavolo con i colleghi, “appare opaca e presenta profili di incostituzionalità“. La ministra parla di “strutture parallele” che “esautorano ministri, ministeri e Parlamento, accentrando e spostando altrove il cuore del processo, decisivo per l’Italia dei prossimi 10 anni”, da cui sarebbero estromessi anche gli enti locali, come le Regioni.
Critiche che sono approdate sul tavolo del Cdm, dove il premier Conte ha spiegato la genesi del progetto e ha rivendicato la necessità di una struttura agile, composta anche da manager, in modo tale da non subire intoppi nell’attuazione dei singoli progetti. Dopo ore di confronto, però, la posizione di Iv non è cambiata. La nuova riunione dei ministri, prevista per il pomeriggio di martedì 8 dicembre, deve quindi ripartire da qui. Anche se nelle ultime ore si è fatta strada un’ipotesi di mediazione a cui stanno lavorando i tecnici (e che ha portato a un rinvio dell’incontro Conte-capidelegazione previsto per martedì sera): da un lato ridurre l’entità della task force, ad esempio rafforzando il ruolo del personale ministeriale e del Parlamento, dall’altro approvare lo schema di governance con un decreto ad hoc e non tramite emendamento alla manovra. Un modo per allungare i tempi e aprire a eventuali modifiche parlamentari in fase di conversione in legge. Sembra più vicino, invece, l’accordo sui contenuti del Recovery: la bozza del piano è stata aggiornata e prevede ad esempio 48,7 miliardi per digitalizzazione e innovazione; 74,3 per la “rivoluzione verde e transizione ecologica”; 27,7 al settore Infrastrutture per una mobilità sostenibile. In totale si parla di 196 miliardi (che potrebbero aumentare a 209), su cui l’intesa nella maggioranza è data per certa.
Le fratture tra Italia viva e il resto del governo, però, rischiano di lasciare un solco profondo. Specie dopo che durante il vertice che si è svolto nella notte tra domenica e lunedì i renziani hanno lasciato il tavolo in segno di protesta. E la mattina dopo l’ex premier Matteo Renzi, intervistato a Repubblica, ha rincarato la dose rivolgendosi direttamente a Conte: “Questo modo di fare non è solo sprezzante: è sbagliato. Noi siamo contrari a sovrastrutture di centinaia di consulenti che stanno al Recovery Fund come i navigator stanno al reddito di cittadinanza. Il futuro dell’Italia dei prossimi vent’anni non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino di Palazzo Chigi”. E alla domanda se le ministre Bellanova e Bonetti in consiglio dei ministri sono pronte a spingersi fino a votare contro la proposta di governance avanzata da Conte, ha replicato: “Spero che il premier si fermi prima di mettere ai voti una scelta non condivisa”. Subito dopo è arrivato il commento del ministro dem Giuseppe Provenzano, secondo cui “una cabina di regia per il Recovery fund ci deve essere”, ha detto a Radio 24. “Questo rumore di fondo continuo, la ricerca di distinguo per ragioni di visibilità stanno dilapidando un patrimonio già fragile” e, ha concluso, “penso sia francamente deprimente“.
Il timore ora è che i toni possano inasprirsi ulteriormente, fino ad arrivare al temuto incidente istituzionale che fa da anticamera alla crisi. La data da segnare sul calendario, Recovery a parte, è quella del 9 dicembre, quando il premier si presenterà alle Aule per le comunicazioni in vista del consiglio Ue e, nella risoluzione di maggioranza che dovrà votare il Parlamento, ci sarà anche la riforma del cosiddetto fondo salva-Stati che tanto divide i 5 stelle. Solo domenica il capo politico M5s Vito Crimi ha garantito che i voti ci saranno, ma i malumori dentro il gruppo restano. Così tocca di nuovo al ministro Luigi Di Maio intervenire: “La riforma del Mes non c’entra nulla con l’attivazione del Mes. Il Mes è attivabile sempre, anche ora, al di là della riforma. Chi dice il contrario, vi sta mentendo”, scrive su Facebook. Poi assicura: “Con il MoVimento 5 Stelle al Governo nessun tipo di Mes entrerà mai in Italia, perché consideriamo lo strumento inadeguato. È un prestito al buio“. Ciò non toglie che mercoledì la maggioranza debba schierarsi compatta a favore di Conte, pena la caduta del governo, insiste il capo della Farnesina.
Se Di Maio e Crimi garantiscono compattezza, lo stesso fa Italia viva, che però non ha ancora messo la sua firma alla risoluzione del premier che verrà votata dai parlamentari. “Se mercoledì dovesse succedere qualcosa in Aula che mette a repentaglio la vita del governo non dovete cercare Italia Viva, che è favorevole alla riforma del Mes e invoca da mesi l’uso della linea sanitaria del Mes che servirebbe per i nostri ospedali, per i nostri pronto soccorso, per il vaccino”, ha avvisato il deputato renziano Luciano Nobili. A tentare di placare gli animi, almeno su questo fronte, ci ha pensato sempre Provenzano: “Ci sarà la maggioranza”, ha dichiarato in radio. “Il premier non può andare in Europa senza un mandato chiaro di una maggioranza parlamentare. Non si tratta in questo caso dell’utilizzo del Mes, perché su quello deciderà il Parlamento. Chi si assume questa responsabilità ne trarrà le conseguenze. Ma credo che tutte le forze politiche stiano capendo”.