“Non è mia abitudine soffermarmi troppo su alcuni post offensivi nei miei confronti sui social media, anche da parte di alcuni servitori del regime, ci sono abituato ormai. Ma stavolta è diverso. In quell’articolo sono stato minacciato frontalmente. Certo che ho paura e per ora ho scelto di mostrare la minaccia in maniera pubblica, usando i social. Intanto ho deciso di denunciare l’autore e il contenuto di quell’articolo”. Il sistema di intelligence egiziano sceglie la via più diretta per mettere in guardia un oppositore, dandogli un avvertimento agghiacciante a mezzo stampa. Si tratta di Hossam Bahgat, fondatore nel 2002 dell’Eipr, la ong con cui fino al 2019 ha collaborato anche Patrick Zaki. “Hossam Bahgat – si legge nell’editoriale scritto da Khaled Imam sull’edizione di al-Massaa – è abituato a riempire i social con un mare di bugie. Se, all’improvviso uno come lui dovesse scomparire, i suoi seguaci denuncerebbero ai quattro venti le responsabilità dello Stato, tra arresto e sparizione forzata. In realtà significa che lo stesso Bahgat si è unito ad un gruppo terroristico internazionale all’estero. Di storie come queste ce ne sono state tante in passato, tutti a preoccuparsi quando invece molti erano morti dopo aver fatto parte di organizzazioni criminali”.
Ormai in Egitto è una guerra di nervi tra due fazioni che si stanno affrontando, ma non ad armi pari: da una parte un pugno di organizzazioni per i diritti umani falcidiate da vessazioni, arresti e violenze mentre tentano di far uscire allo scoperto la loro voce, dall’altra lo Stato, un monolite a cui si agganciano altre appendici. Quello che è successo domenica ad Hossam Bahgat rientra nella strategia della tensione messa in atto dal 2013 dall’attuale regime guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi.
Nel giorno in cui il capo dell’Egitto è volato a Parigi per incontrare il presidente Macron e dialogare anche sui diritti umani mentre il Tribunale del Cairo ha messo a segno l’ultima beffa nei confronti di Patrick Zaki, la cui detenzione è stata rinnovata di altri 45 giorni, il noto attivista e giornalista egiziano riflette su quanto apparso ieri. L’articolo in versione online, pubblicato ieri dal quotidiano serale al-Massaa (di proprietà della Tahrir editore che gestisce altri media vicini al governo in carica) riportava dichiarazioni molto pesanti e dirette. E non stiamo parlando di un giornale qualsiasi: “Si tratta di una testata che ha legami accertati con la Nsa (la Sicurezza Nazionale, il temuto servizio di intelligence egiziano, ndr) e Imam afferma di non stupirsi se io dovessi scomparire prima o poi – racconta Bahgat a Ilfattoquotidiano.it – Cos’è questa esattamente se non una minaccia diretta alla mia persona?”.
È importante, a questo punto, raccontare chi è Hossam Bahgat, 42 anni, uno dei più noti e apprezzati difensori dei diritti umani dell’Egitto e del Nord Africa. A lui, nel lontano 2002, si deve la fondazione dell’Eipr, l’Iniziativa egiziana per i diritti personali, la stessa ong finita di recente nel mirino del regime egiziano. Si tratta della prima organizzazione in Egitto a riconoscere i diritti Lgbt come diritti umani. Un settore molto delicato di cui lo stesso Patrick Zaki si è occupato durante il suo lavoro per l’Eipr, scegliendolo anche come argomento dei propri studi accademici presso l’università di Bologna. Alcuni anni fa Bahgat ha lasciato la guida dell’organizzazione, la cui sede è a due passi dall’Ambasciata italiana, pur mantenendo il ruolo di presidente onorario. Nel frattempo si è occupato d’altro, in particolare del suo mestiere principale, quello di giornalista d’inchiesta, lavorando per Mada Masr, il più noto e impegnato sito di notizia online messo più volte al bando da al-Sisi.
Nel 2015 è stato arrestato per aver diffuso “notizie che disturbano la pace del Paese” e un fermo lo ha subìto anche l’anno dopo. Nel 2011 Bahgat ha ricevuto il premio Alison des Forge di Human Rights Watch per aver difeso le libertà personali di tutti gli egiziani. A causa della decapitazione dei vertici di Eipr avvenuta a cavallo tra il 15 e il 19 novembre scorsi, con gli arresti di Gasser Abdel Razek, Mohamed Bashir e Karim Ennarah, lo stesso Bahgat è tornato alla guida della ong, seguendo da vicino le detenzioni e l’udienza dei tre, liberati poi ad inizio dicembre: “Le pressioni internazionali hanno avuto un peso importante nella decisione della procura di rilasciare i tre amici e colleghi – spiega Bahgat – A partire dal ruolo della stampa internazionale, quindi l’appello dell’attrice Scarlett Johansson e la missione dell’ex parlamentare Amwar Sadat (nipote dell’ex presidente assassinato nel 1981, ndr) nel carcere di Tora proprio il giorno precedente al loro rilascio. Credo però che le autorità giuridiche egiziane si siano rese conto di aver commesso una serie di errori procedurali clamorosi. Ho passato gli ultimi giorni in Procura, giornate estenuanti e non riesco ancora a capire come mai lo stesso giudice che ha liberato Gasser, Mohamed e Karim abbia poi confermato il congelamento dei loro conti personali”.
L’articolo pubblicato da al-Massaa domenica sera ha suscitato sdegno e preoccupazione dentro e fuori dall’Egitto. Messaggi di solidarietà nei confronti di Hossam Bahgat hanno riempito le pagine social dell’attivista a cui molti hanno consigliato di prendere delle precauzioni, di essere prudente, ma anche di denunciare la grave minaccia subita. Nell’articolo, oltre a Bahgat, si faceva riferimento anche alle figure di altri noti attivisti egiziani di cui Ilfattoquotidiano.it si è occupato, a partire da Gamal Eid e passando per Leila e Mona Seif. Infine, parlando di rinnovi delle detenzioni, oltre al caso di Patrick Zaki ieri la Procura egiziana ha deciso di allungare di altri 45 giorni il periodo di permanenza in carcere in attesa di giudizio per la giovane giornalista Shaima Sami, arrestata il 20 maggio scorso ad Alessandria d’Egitto.