Nell’anno in cui abbiamo salutato Eddie Van Halen, Peter Green e Bill Withers, ricordare i quaranta che ricorrono dall’omicidio di John Lennon è cosa buona e giusta da una parte, sadica e basta dall’altra. Al di là del lascito musicale, che sopravvive all’artista, sarebbe bene comprendere come, e perché, avremmo un bisogno tremendo di personaggi del suo calibro e spessore oggi.
Non parlasse abbastanza quanto fatto con i Beatles, a Lennon riuscì l’impresa di affermarsi col suo nome e cognome, nonostante un passato certamente ingombrante: è infatti, tuttora, l’artista inglese di maggior successo di tutti i tempi, seguito (neanche a farlo apposta) da Paul McCartney. I primi passi in autonomia li aveva compiuti a partire dalla metà degli anni Sessanta, pubblicando due libri (In His Own Write e A Spaniard In The Works) e tre dischi, già questi in coppia (Unfinished Music No. 1: Two Virgins, Unfinished Music No. 2: Life With The Lions e The Wedding Album) di difficile masticazione: pensiamo alla sola Radio Play, riproduzione – fedele – di 12 minuti di mancata sintonizzazione radiofonica.
Provocatorio nella forma come nella sostanza, concreto e sempre in maniera lampante: come quando, contrario all’appoggio dato dall’Inghilterra agli Stati Uniti nella guerra in Vietnam, restituì medaglia e titolo di Baronetto. Farà addirittura peggio David Bowie, in tempi più recenti: quando nel 2003 rifiuterà il riconoscimento, causando ulteriori imbarazzi a corte. Non parliamo poi di Bob Dylan, e della sua reticenza un po’ piaciona ad accettare il Nobel per la Letteratura nel 2016.
Se guardiamo a Lennon attraverso le sue canzoni, specie da solista, ne cogliamo l’autoanalisi, i lamenti, il dolore, il testamento umano oltre che artistico: leggendo invece la versione fornita nero su bianco ad esempio da Powell, nel celebre The Lives Of John Lennon, potremmo pensare – a torto o ragione – di essere al cospetto di un impostore, un vile, un misogino, un tossico. E lo stesso diceva di lui l’ex consorte Cynthia: che Lennon avrebbe colpito, almeno una volta, in preda alla gelosia e con la quale ebbe quel Julian (anch’egli cantautore) che esitò, e non poco, a riconoscere come suo figlio.
Lennon è presente, ieri come oggi, anche nella sua assenza: nei momenti, tanti, in cui qualcosa o qualcuno ha confermato, o disconfermato, l’immagine di un santo cui parecchi hanno finito per aggrapparsi. Lo stesso che chiedeva secchiate di riverbero al produttore George Martin, perché non convinto della propria voce, deciso a riregistrare canzoni divenute ben presto megafono dell’umore e della coscienza collettiva di milioni di persone, così come erano uscite dalla sala d’incisione.
Tutto questo ben prima che Susanna Ceccardi parlasse di Imagine come di un inno comunista e marxista ma comunque in tempo, ahinoi, perché la sera dell’8 dicembre 1980 Mark Chapman, armato di una Calibro 38, decidesse di scaricargli addosso cinque proiettili di fronte al tristemente noto Dakota Building: lo stesso complesso residenziale nel quale abitarono (ça va sans dire) Leonard Bernstein e Rudolf Nureyev. A guidarlo per mano, lungo il corridoio della follia (dirà poi) niente meno che Il Giovane Holden di Salinger: circostanza, questa, che ispirerà il brano Catcher In The Rye dei Guns ‘N’ Roses.
Tornando a noi: cosa ne penserebbe Lennon del ritorno in pompa magna dei nazionalismi? Del prevalere dell’io sul noi? Lui che morì troppo presto per vedere abbattuto il muro più grande e significativo al mondo, quello di Berlino, ma che se tornasse in vita oggi ne vedrebbe spuntare invece di nuovi come funghi. Chissà che magari non sceglierebbe il silenzio, sentendosi un pesce fuor d’acqua, oppure sarebbe sempre lì in prima linea: come un Neil Young, un Bruce Springsteen o un Eddie Vedder dei giorni nostri.
Magari avrebbe ceduto e scelto, alla fine, di intraprendere una volta per tutte la carriera d’attore. O peggio potremmo ritrovarcelo a tifare per Trump, come un John Lydon qualsiasi. Certo è che guardando al presente, e a come s’è ridotto il livello del dibattito, nonostante l’impegno profuso, le canzoni (gli inni, appunto) scritte, a Lennon potremmo concedere al massimo una pacca sulla spalla: il brutto sarebbe poi dirgli che aveva sì ragione, e forse anche troppo. Così tanto da aver sperato in un futuro che era lì, ad un tiro di schioppo, ma che ha fatto il giro diventando passato.
In questo eterno ritorno alle cose che furono, conserviamo allora gelosamente almeno le sue canzoni, traendone se non l’insegnamento, la morale, cercando di coglierne anche solo la bellezza.
Valerio Cesari
Speaker radiofonico, psicologo
Musica
Quarant’anni senza John Lennon: chissà che oggi non sceglierebbe il silenzio
Nell’anno in cui abbiamo salutato Eddie Van Halen, Peter Green e Bill Withers, ricordare i quaranta che ricorrono dall’omicidio di John Lennon è cosa buona e giusta da una parte, sadica e basta dall’altra. Al di là del lascito musicale, che sopravvive all’artista, sarebbe bene comprendere come, e perché, avremmo un bisogno tremendo di personaggi del suo calibro e spessore oggi.
Non parlasse abbastanza quanto fatto con i Beatles, a Lennon riuscì l’impresa di affermarsi col suo nome e cognome, nonostante un passato certamente ingombrante: è infatti, tuttora, l’artista inglese di maggior successo di tutti i tempi, seguito (neanche a farlo apposta) da Paul McCartney. I primi passi in autonomia li aveva compiuti a partire dalla metà degli anni Sessanta, pubblicando due libri (In His Own Write e A Spaniard In The Works) e tre dischi, già questi in coppia (Unfinished Music No. 1: Two Virgins, Unfinished Music No. 2: Life With The Lions e The Wedding Album) di difficile masticazione: pensiamo alla sola Radio Play, riproduzione – fedele – di 12 minuti di mancata sintonizzazione radiofonica.
Provocatorio nella forma come nella sostanza, concreto e sempre in maniera lampante: come quando, contrario all’appoggio dato dall’Inghilterra agli Stati Uniti nella guerra in Vietnam, restituì medaglia e titolo di Baronetto. Farà addirittura peggio David Bowie, in tempi più recenti: quando nel 2003 rifiuterà il riconoscimento, causando ulteriori imbarazzi a corte. Non parliamo poi di Bob Dylan, e della sua reticenza un po’ piaciona ad accettare il Nobel per la Letteratura nel 2016.
Se guardiamo a Lennon attraverso le sue canzoni, specie da solista, ne cogliamo l’autoanalisi, i lamenti, il dolore, il testamento umano oltre che artistico: leggendo invece la versione fornita nero su bianco ad esempio da Powell, nel celebre The Lives Of John Lennon, potremmo pensare – a torto o ragione – di essere al cospetto di un impostore, un vile, un misogino, un tossico. E lo stesso diceva di lui l’ex consorte Cynthia: che Lennon avrebbe colpito, almeno una volta, in preda alla gelosia e con la quale ebbe quel Julian (anch’egli cantautore) che esitò, e non poco, a riconoscere come suo figlio.
Lennon è presente, ieri come oggi, anche nella sua assenza: nei momenti, tanti, in cui qualcosa o qualcuno ha confermato, o disconfermato, l’immagine di un santo cui parecchi hanno finito per aggrapparsi. Lo stesso che chiedeva secchiate di riverbero al produttore George Martin, perché non convinto della propria voce, deciso a riregistrare canzoni divenute ben presto megafono dell’umore e della coscienza collettiva di milioni di persone, così come erano uscite dalla sala d’incisione.
Tutto questo ben prima che Susanna Ceccardi parlasse di Imagine come di un inno comunista e marxista ma comunque in tempo, ahinoi, perché la sera dell’8 dicembre 1980 Mark Chapman, armato di una Calibro 38, decidesse di scaricargli addosso cinque proiettili di fronte al tristemente noto Dakota Building: lo stesso complesso residenziale nel quale abitarono (ça va sans dire) Leonard Bernstein e Rudolf Nureyev. A guidarlo per mano, lungo il corridoio della follia (dirà poi) niente meno che Il Giovane Holden di Salinger: circostanza, questa, che ispirerà il brano Catcher In The Rye dei Guns ‘N’ Roses.
Tornando a noi: cosa ne penserebbe Lennon del ritorno in pompa magna dei nazionalismi? Del prevalere dell’io sul noi? Lui che morì troppo presto per vedere abbattuto il muro più grande e significativo al mondo, quello di Berlino, ma che se tornasse in vita oggi ne vedrebbe spuntare invece di nuovi come funghi. Chissà che magari non sceglierebbe il silenzio, sentendosi un pesce fuor d’acqua, oppure sarebbe sempre lì in prima linea: come un Neil Young, un Bruce Springsteen o un Eddie Vedder dei giorni nostri.
Magari avrebbe ceduto e scelto, alla fine, di intraprendere una volta per tutte la carriera d’attore. O peggio potremmo ritrovarcelo a tifare per Trump, come un John Lydon qualsiasi. Certo è che guardando al presente, e a come s’è ridotto il livello del dibattito, nonostante l’impegno profuso, le canzoni (gli inni, appunto) scritte, a Lennon potremmo concedere al massimo una pacca sulla spalla: il brutto sarebbe poi dirgli che aveva sì ragione, e forse anche troppo. Così tanto da aver sperato in un futuro che era lì, ad un tiro di schioppo, ma che ha fatto il giro diventando passato.
In questo eterno ritorno alle cose che furono, conserviamo allora gelosamente almeno le sue canzoni, traendone se non l’insegnamento, la morale, cercando di coglierne anche solo la bellezza.
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Roma, 21 feb. (Adnkronos) - In collaborazione con TgPoste.it
Nel 2025 focus su pacchi, risparmio postale, assicurazioni e offerta luce e gas. Sono le priorità di Poste Italiane, messe in fila dall’amministratore delegato, Matteo del Fante, intervistato da Tg Poste all’alba dei conti del gruppo, che ha chiusto il 2024 con numeri record e obiettivi futuri in rialzo. Ora, “rimaniamo focalizzati sulla logistica, in particolare sui pacchi” ma “resteranno importanti i prodotti di risparmio: quest’anno ricorre il 150° anniversario del libretto postale e il centenario del buono fruttifero. Stiamo studiando con Cassa Depositi e Prestiti delle emissioni per celebrare le soluzioni di risparmio più apprezzate dagli italiani, per un valore di 340 miliardi”; per quanto riguarda la protezione “sarà un anno molto positivo” e per “la nostra offerta di luce e gas il 2025 sarà storico perché ci siamo dati l’obiettivo di raggiungere il milione di contratti. Al momento Poste Energia conta 700mila clienti, abbiamo ancora lavoro da fare”, ha riferito l’Ad. (Video)
“Questa azienda non produce beni fisici ma offre servizi. Se i nostri colleghi operativi e l’azienda tutta non collaborassero non si raggiungerebbero questi numeri. Quando si ottiene più di quello che ci si aspettava, significa che tutti i colleghi ci hanno messo passione ed è la cosa per noi più importante. Un grazie sulla base di risultati concreti”, ha aggiunto poi Del Fante, riferendosi ai 120mila dipendenti di Poste.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - “Rispetto al sistema geopolitico non riteniamo che sia assolutamente ragionevole togliere dal patto di stabilità la spesa per le armi. Noi pensiamo a una geopolitica che rimetta al centro l'uomo, rimetta al centro il welfare, rimetta al centro la salute. Questi sono temi che dovrebbero essere tolti dal patto di stabilità”. Lo ha detto Andrea Quartini, deputato M5S, nel suo intervento oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni tutte e i cittadini.
“L'Italia è l'incrocio di tantissime culture, di tantissime lingue, di tantissimi soggetti - argomenta Quartini - Questo rende l'Italia un paese assolutamente particolare. Noi siamo stati i migliori diplomatici del mondo, non a caso. Noi siamo un po' spagnoli, un po' greci, un po' africani, un po' arabi. Questa miscela è straordinaria. Ci può far comprendere quanto è importante il dialogo, quanto si può essere efficaci nella capacità di impostare dei negoziati di pace. Credo che questa forza che l'Italia può esprimere può anche riuscire a far ritornare molti giovani ad occuparsi di politica. E credo che questo sia un tema che ci riguarda nel senso anche di avvicinarsi alle strategie di Meritocrazia Italia. Credo che Movimento 5 Stelle e Meritocrazia Italia su questa linea abbiano molte cose da condividere”.
“Credo fermamente nell'idea di un'Europa che riesce a governare una transizione ecologica - aggiunge Quartini - Quindi, da questo punto di vista, credo ci siano degli aspetti che ci assimilano, che ci possono consentire un dialogo forte. Allo stesso tempo, credo che il tema della pace sia un tema assolutamente importante, rilevante. Sono tre anni che, diciamo, che dobbiamo arrivare a un momento di negoziazione e che probabilmente siamo davvero in ritardo e il prezzo pagato da tanti uomini in Ucraina sia un prezzo troppo alto e poteva essere evitato. Allo stesso tempo riteniamo che si debba farlo in un'ottica di credibilità”, conclude.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "L'attualità internazionale impone una riflessione. Con determinazione dobbiamo rilanciare quello spirito europeo che l'Italia ha contribuito come Paese fondatore a creare. Dal 1957 i passi in avanti fatti sono stati straordinari, eccezionali, però ora è necessario uno scatto ulteriore. È centrale il tema della difesa, ma in questo ambito le posizioni sono ancora piuttosto articolate all'interno dell'Unione e non è un bene". Lo ha detto Alessandro Battilocchio, deputato Fi, partecipando oggi al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia in corso a Firenze.
"L'Italia fu uno dei Paesi che prima ancora dei trattati di Roma nel 1954 con De Gasperi lanciò l'idea di una difesa comune - continua Battilocchio - Poi, proprio dalla Francia ci fu una grande frenata. Dopo il trattato di Lisbona sembrava che questo percorso si fosse riavviato con una serie di step previsti che dovranno portare ad una difesa comune, però anche in questo caso, pur in una contingenza difficile, legata alla pandemia, i passi in avanti sono stati assolutamente troppo flebili. Ora il tema è tornato prepotentemente d'attualità e io ritengo che sia importante che si sia aperto un dibattito. Le parole che arrivano da Oltreoceano rappresentano, in questo contesto, una spinta ad accelerare questa discussione".
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - “Credo che, sotto il profilo geo culturale un'enfasi forte sul consesso europeo sia strettamente necessario perché ritengo che si stia perdendo culturalmente un ruolo che il nostro contesto geografico politico ha sempre avuto. Con il linguaggio dei numeri, il valore delle nostre imprese in relazione al totale delle imprese del mondo non è sceso, è crollato in modo ingiustificato. Se confrontate il 2005 con il 2024, vi accorgete che il prodotto interno lordo dell'Europa è passato dal 35% del totale del mondo al 20%. Siamo scesi come peso e come significatività. Se poi andiamo a vedere il peso delle società quotate, nel 2005 e oggi, troviamo che è passato dal 35% del totale a meno del 15%”. Così Maurizio Dallocchio, professore ordinario università Bocconi, intervenendo oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni e i cittadini.
Nel mondo, “le banche europee, sono irrilevanti - aggiunge Dallocchio - La prima banca europea per dimensione di capitalizzazione è dopo il numero 20. Nelle prime 10 ce ne sono 4 americane, 4 cinesi, una della Gran Bretagna e una giapponese. Non ce n'è una europea. Le banche europee, per finanziare le imprese europee, sono fortissime, sono importantissime - evidenzia il professore - Se consideriamo 100 il debito delle imprese europee, 75 è debito bancario e solo 25% è legato ai mercati e all'emissione di titoli obbligazionari. Credo che se partiamo da questi numeri ci rendiamo contro che stiamo diventando, in qualche modo, preda, sotto il profilo economico. Ma - avverte il professore - l'economia influisce sulla politica e sulla società ed evidentemente dà un impulso numerico alla cultura prevalente”.
C’è una concentrazione geopolitica delle maggiori imprese del mondo. “Tra le prime otto per capitalizzazione di borsa, sette sono statunitensi, l'altra è saudita e fa petrolio - illustra l’esperto - Quella che capitalizza di più in borsa, che vale 3.600 miliardi di dollari, molto di più del debito pubblico italiano per intenderci, quasi il doppio del Pil italiano, è una società che appartiene al settore tecnologico. Le sette americane sono tutte imprese tecnologiche. Per cui il secondo elemento di concentrazione, il settoriale, è potentissimo. Le prime otto società per capitalizzazione di borsa, nel 2005, l'anno di riferimento che ho preso insieme al 2024, erano presenti in sei settori diversi: il farmaceutico, diversificato, la grande distribuzione, il bancario, l'oil and gas e le tecnologie. Oggi i settori presenti sono, praticamente, uno”.
Inoltre, “la capitalizzazione di borsa delle prime cinque società al mondo per capitalizzazione - rimarca il professore - valgono il 30% del mercato di tutto il mondo. La sola, Nvidia, che è legata al mondo dell'intelligenza artificiale, da sola pesa una 1,6 tutta la borsa tedesca: una concentrazione dimensionale incredibile, mai esistita in passato. Altamente preoccupante è che si tratta di realtà proprietarie. Nel 2005, delle grandi imprese che connotavano il mondo, la concentrazione della proprietà era altamente diffusa. Nessuno possedeva più del 7 - 8 - 9%. Oggi, le prime otto società per capitalizzazione, si rifanno al nome di un padrone. Sotto il profilo evidentemente economico, finanziario, ma anche sociale e culturale, ha un impatto sul mondo che è straordinario”.
Come Europa, “se vogliamo tornare ad avere il ruolo sotto il profilo culturale in primo luogo sotto il profilo economico e sociale - suggerisce Dallocchio - è necessario accettare che ci sia un debito comune, è necessario provvedere a una difesa comune, al rilancio dei mercati e della finanza, intesa nel senso buono, dei soldi che finiscono alle aziende proveniendo dalle famiglie. È necessaria una fiscalità omogenea ed è necessario prendere consapevolezza del fatto che se vuoi essere competitivo devi investire in tecnologie e in intelligenza, che poi naturale o artificiale, con una visione di lungo periodo che porti a credibilità, a sostenibilità, a visibilità, a credito, che si trasformi anche in credito culturale della nostra Europa”. In questo contesto, l’Italia “è un Paese che paga una valanga di tasse. Partiamo da un livello di tassazione che, rispetto ad altri Paesi è mostruosamente superiore”. Va bene la rottamazione delle cartelle esattoriali? “Si, ma cum grano salis”, conclude.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - Le elezioni federali del 23 febbraio 2025 sono un momento cruciale non solo per la Germania ma per l’intero panorama politico europeo e internazionale. Per approfondire l'impatto di questo appuntamento elettorale, Adnkronos organizza una diretta speciale targata Eurofocus, direttamente dalla residenza di Hans-Dieter Lucas, l’ambasciatore tedesco a Roma.
Condotto dal direttore Davide Desario e dai vicedirettori Fabio Insenga e Giorgio Rutelli, con la partecipazione dei giornalisti Adnkronos Mara Montanari e Otto Lanzavecchia, lo speciale di domenica comincerà alle 17 e vedrà la partecipazione di molti ospiti italiani e tedeschi, con continui collegamenti anche da Berlino, Francoforte e Bruxelles.
Alle 18, con la chiusura dei seggi e la diffusione degli exit poll, è prevista l’analisi dei primi risultati. Alle 19 un panel di esperti si confronterà sugli scenari del post-voto: quali le coalizioni possibili, e quali i rapporti di forza tra i partiti. Tra le 20 e le 21, infine, il commento della Elefantenrunde, la “tavola rotonda degli elefanti”, confronto tra i leader politici in onda sulle tv tedesche. Un'occasione unica per leggere i risultati, le prospettive e le possibili conseguenze di queste elezioni sul futuro dell'Unione Europea, delle relazioni transatlantiche e degli equilibri globali.
Lo speciale sarà trasmesso sulla homepage e sul canale Youtube di Adnkronos, con 400 siti collegati tra testate nazionali e network locali online. Le notizie sulle elezioni saranno lanciate in tempo reale dall’agenzia, analisi e interviste pubblicate sulportale Eurofocus.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "La politica deve essere capace di guidare la narrazione, le trasformazioni, non deve essere esecutrice di decisioni raggiunte in altri ambiti. Meritocrazia Italia chiede un rinascimento della politica, per questo siamo a Firenze. La politica non è solo nei palazzi, parte dal basso e abbiamo ambizioni grandi, anche oltre confine". Lo ha detto Zenaide Crispino, ministro MI Turismo, Cultura, Impresa e Territorio, nel suo intervento al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia in corso a Firenze.
"La geopolitica e la geo cultura si muovono in un gioco di specchi - spiega Crispino - perché si condizionano reciprocamente e il momento storico che viviamo ci pone di fronte a degli scontri asimmetrici. C'è un occidente che si dibatte per mantenere la geocultura, anche al cospetto di un sistema che manifesta delle crepe e delle fragilità. Ci sono Paesi come quelli del Golfo, l'India, la Cina che vogliono riscrivere le regole proprio della geopolitica, si muovono tra capitalismo e autoritarismo, tra egemonia e soft power. Le guerre vogliono riscrivere le frontiere del diritto internazionale. Poi c'è l'Europa, che sembra un po' dispersa tra questi giganti”. A livello internazionale, “sicuramente l'elezione di Trump vede degli Stati Uniti che accelerano sull'indipendenza energetica - illustra - ma che, nello stesso tempo, si svincolano da trattati internazionali che sono stati stilati proprio per una visione coesa internazionale contro il cambiamento climatico. C'è la Cina che, pur essendo uno dei paesi più inquinanti al mondo, ha il monopolio nella produzione delle tecnologie green. C'è l'Europa che insegue, una transizione ecologica giusta, ma tante volte anche ideologica. Ci siamo persi, a volte, perché scollati dalle esigenze delle economie reali".
Ma "l'ambiente non è solo un problema climatico, è anche un problema di sicurezza - sottolinea Crispino - perché dove ci sono delle crisi climatiche si evidenziano anche spesso delle crisi umanitarie e migratorie. Anche in questo caso la politica e la cultura non possono discostarsi l'una dall'altro. Tante volte meritocrazia ha chiesto l'integrazione reale che si basa sull'incontro di quelle culture che vengono in contatto, che restituiscano la tolleranza a chi deve ospitare e la dignità a chi viene ospitato. Questo, a dispetto di un'accoglienza indiscriminata, che invece crea quelle bolle di subcultura che genere illegalità e quindi intolleranza. Anche la giustizia è un elemento essenziale nell'immaginario collettivo. La giustizia deve essere percepita come equa, certa, svincolata dalla burocrazia, deve restituire sicurezza, certezza del diritto, ma anche della pena". Rimarcando l’importanza della politica, Crispino conclude mettendo in guarda sull’affacciarsi di "protagonisti, che sono soggetti privati, che perché dispongono di un potere finanziario tale, hanno la possibilità di gestire asset strategici, la comunicazione, la sicurezza, l'intelligenza artificiale, le energie rinnovabili, fino alla conquista dello spazio. Il mio riferimento non è velato, sto parlando Musk, ovviamente".
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "Stiamo assistendo a dei profondi cambiamenti. Non so se la geopolitica salverà il mondo, credo che la diplomazia lo possa fare, con tutte le dovute cautele. Il lavoro delle diplomazie di tutto il mondo" è "sempre stato fondamentale per evitare guerre o farle finire e questo è un momento in cui, nel quadrante dove lavoro io, cioè nel Golfo ma anche nel resto del Medio Oriente, stiamo assistendo, dopo oltre un anno, a qualche buona notizia. Cessate il fuoco a Gaza, cessate il fuoco in Libano. Ci sono stati dialoghi interregionali che sicuramente fanno sperare in una nuova fase. Tutto è ancora molto fragile e quindi dovremmo lavorarci con enorme forza". Lo ha detto Luigi Di Maio, rappresentante speciale dell’Ue per la regione del Golfo, intervenendo oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni tutte e i cittadini.
"Sicuramente questo è un momento in cui a livello internazionale è meglio non lavorare da soli - aggiunge Di Maio - Più si può stare insieme e si può lavorare insieme ai nostri alleati, ai nostri partner, meglio è. L'illusione che si possa fare, si possa affrontare le dinamiche geopolitiche da soli è qualcosa che appartiene a un passato, neanche di grande successo, e questo è pienamente in linea anche con lo spirito con cui il governo italiano sta affrontando questo momento. Molti si meravigliano che l'incontro tra Trump e Putin possa avvenire in Arabia Saudita, ma l’Arabia Saudita ha costruito una politica estera, soprattutto nei momenti di grande polarizzazione del mondo. Dopo il Covid sui vaccini o dopo l'aggressione russa all'Ucraina, è chiaro ed evidente che questi Paesi" del Golfo “hanno investito in una politica multipolare, come la chiamano, e oggi riescono a dialogare con tutti, anche con gli europei, da una posizione molto credibile, evidentemente".
Tale situazione "non riguarda soltanto i sauditi - conclude Di Maio - Gli emiratini nell'ultimo anno hanno negoziato il rilascio di prigionieri sia russi che ucraini, per oltre 2000 persone, i catarini hanno fatto rientrare i bambini ucraini in Ucraina dalla Russia, grazie ad una mediazione tra Russia e Ucraina e così via. Assistiamo a un Golfo, il paese e la regione in cui lavoro, che diventa sempre più un hub per mediazioni diplomatiche e facilitazioni diplomatiche. La buona notizia è che noi", come italiani "abbiamo ottimi rapporti con loro e siamo partner strategici di questi paesi. Lo dico senza nessun interesse, e come una persona che sicuramente ha avuto anche diverse discussioni, con gli attuali leader politici: credo che siamo in un momento europeo in cui l'Italia si sta dimostrando uno dei paesi più stabili politicamente e questa non è una cosa da poco. Dobbiamo cercare di ricostruire sempre più una politica che tenga al centro l'interesse europeo, abbiamo bisogno adesso di mettere al centro l'interesse europeo".