Considerato incapace d’intendere e di volere a causa di un totale vizio di mente che l’avvocato della difesa aveva definito come “un delirio di gelosia“. E quindi assolto dall’accusa di aver assassinato la moglie perché appunto non imputabile. È una sentenza che farà discutere quella emessa dalla corte d’Assise di Brescia. I giudici hanno chiuso con l’assoluzione il processo a carico di Antonio Gozzini, un uomo che il 4 ottobre 2019 uccise la moglie Cristina Maioli, insegnante di scuola superiore.
Ex assistente tecnico scolastico, in cura per depressione, l’uomo stordì la moglie nel sonno con un colpo di mattarello in testa e poi l’aveva accoltellata alla gola. Il cadavere della donna è stato poi vegliato per ore dal marito, che avrebbe anche tentato il suicidio, prima di essere salvato da un amico al quale aveva telefonato dopo il delitto. In fase processuale il consulente dell’accusa e quello della difesa sono stati d’accordo nel dire che l’uomo “era in preda ad un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida”. E dunque la difesa dell’uomo, rappresentata dall’avvocato Jacopo Barzellotti, ha chiesto l’assoluzione, ritenendo incapace di intendere e volere Gozzini al momento dell’omicidio. La pm Claudia Passalacqua aveva invece chiesto l’ergastolo.
La corte d’assise ha dato ragione alla difesa. Bisognerà attendere le motivazioni, ma se davvero l’incapacità d’intendere e volere è legata a un fantomatico “delirio di gelosia” si può dire che la sentenza di Brescia è destinata a sollevare numerose polemiche. Esulta l’avvocato Barzellotti, legale di Gozzini: “E’ una sentenza che io ritengo giusta e anche l’unica possibile all’esito di un processo nel quale questo aspetto di incapacità di intendere e volere è stato vagliato con molto scrupolo”. Per il legale “si è compresa esattamente la patologia che affligge Gozzini. Ovviamente, nel corso delle indagini, era stata fatta una consulenza tecnico-psichiatrica e tanto il consulente del pm quanto quello della pubblica difesa avevano concluso per l’incapacità totale di intendere e di volere del mio assistito”. Quindi, aggiunge, l’avvocato, “nel processo si è voluto fugare ogni dubbio, in particolare offrire spiegazioni alle perplessità che un terzo consulente, quello delle persone offese dei congiunti della signora Maioli aveva espresso nel proprio elaborato. Ma ripeto, questa è la sentenza giusta e l’unica possibile in questa situazione”.