Per via dei regolamenti parlamentari il dibattito del Senato è rimasto monco, mancava un pezzo, cioè la risposta. Prima ha parlato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che è rimasto sul tema, la riforma del Mes. Il premier ha poi ascoltato la discussione generale e per Italia Viva ha parlato Laura Garavini. Il capo del governo non ha replicato e così Matteo Renzi, che ha preso la parola in dichiarazione di voto, ha affondato il colpo con il beneficio della ribalta tutta per sé, con tanto di applausi a scena aperta di buona parte del centrodestra e complimenti di persona del suo omonimo leader della Lega e capo dell’intera opposizione. Così il capo del governo è uscito dal Senato, ha atteso qualche manciata di minuti e proprio mentre il predecessore affollava agenzie e televisioni (era quasi in contemporanea sia alla riunione congiunta della pattuglietta di parlamentari sia da Bruno Vespa a Porta a Porta) ha messo in fila le questioni sollevate da Renzi. E il centro è questo: la struttura di gestione del piano di recupero – che sui giornali viene detta “la governance del recovery plan” – “servirà per garantire la realizzazione degli interventi ed evitare che si sprechino risorse ma la responsabilità rimane sempre nel governo perché servirà l’autorizzazione del Cdm“. Insomma: i timori di Italia Viva (ma forse anche di un pezzo più ampio della maggioranza) sono infondati: “La politica non verrà commissariata, dobbiamo assicurare tempi certi e velocità”.
I 300 consulenti non piacciono a Renzi (“Abbiamo tagliato 300 parlamentari e ora mettiamo 300 consulenti?”. Ma Conte risponde che “non c’è scritto da nessuna parte quanti manager ci dovranno essere, comunque serve una struttura per assicurare il monitoraggio dei cantieri e il rispetto dei tempi, è una cosa assolutamente necessaria”. “Non ci saranno centinaia di tecnici”, garantisce parlando al telefono con i giornalisti. E al riguardo aggiunge che non si è mai parlato esplicitamente del numero dei manager anche se “ragionevolmente” potrebbero essere 6, uno per ogni missione.
Un aspetto che non andrà nel disegno di legge della manovra finanziaria: “Tutto ciò ha carattere ordinamentale e quindi non andrà in manovra ma in un apposito decreto legge, torneremo su questo a confrontarci nella sede propria che è quella del governo e il Consiglio dei ministri, lì troveremo la formula giusta”. Insomma: “C’è stato un colossale fraintendimento sulla struttura di missione, che deve avere compiti di monitoraggio e non sottrarrà potere e competenze ai ministeri”. “Dovrebbe solo essere prevista – precisa – una clausola di salvaguardia nel caso in cui le amministrazioni centrali non possano intervenire a esercitare i poteri sostitutivi“.
Secondo Renzi Conte “farà marcia indietro“, ma pare improbabile, almeno non in modo così netto come se lo immagina il senatore di Scandicci, Impruneta, Signa e Lastra a Signa. Di sicuro la situazione sarà lasciata raffreddare dal capo del governo che nella mattinata di giovedì partirà per Bruxelles per il Consiglio europeo. Un’ipotesi che l’Ansa mette sul tavolo è che ci si potrebbe spingere fino all’archiviazione dei sei “super-manager” incaricati di seguire l’esecuzione, sempre comunque mantenendo la struttura di missione a Palazzo Chigi. Il problema che ha il premier è che apparentemente la richiesta di condivisione appartiene non solo al leader di Italia Viva. Lui, il capo del partito più a destra della coalizione, ha organizzato una cosa plateale, teatrale, scenica, in Senato, nella dichiarazione di voto neanche con voto di fiducia, ma su una risoluzione su un argomento che non è l’oggetto del contendere. Ma la necessità di maggiore partecipazione delle varie anime della maggioranza non è un’esigenza sentita solo da Renzi che – secondo gli alleati – si muove come si è mosso altre volte, alzando la posta per poi ottenere il risultato. Ma c’è anche chi sospetta che aspetti la fine dell’anno e magari una situazione sanitaria un po’ migliore per arrivare all’esito finale. Gennaio, dice un dirigente Pd all’Ansa, sarà il crocevia: prima bisogna mettere in salvo la legge di bilancio, poi la verifica sarà ineludibile.
Eppure il merito è uscito del tutto dalla discussione, anche rispetto alle accuse di Renzi. E’ già deciso che nel testo della manovra non ci sarà né un emendamento sulla governance del Recovery, né quello per creare una fondazione sulla cybersecurity, che non piace né al Pd, né a Iv, né a una parte del M5s (l’accusa al premier è accentrare troppo il dossier Servizi segreti). “Renzi sa che gli emendamenti alla manovra non ci saranno, ecco perché il suo è solo uno show, senza reale intenzione di rottura”, dice un esponente del governo. E aggiunge che il decreto legge sulla governance del Recovery, che a questo punto è rinviato, potrebbe contenere molte novità rispetto al progetto originario di Conte, dalla scomparsa dei sei manager, fino alla riduzione dei 300 consulenti (già scesi a 90) della struttura di missione.
Il primo problema ora è riaprire il confronto e come. E se sia possibile farlo davvero, anche se soprattutto nei vertici europei il presidente del Consiglio ha abituato a uscire da situazioni intricate. Conte dovrebbe convocare i leader per parlare della nuova agenda di governo, ma ad ora di incontri non c’è traccia. La situazione è più complicata di altre volte. Perché se la prima volontà del Quirinale in caso di crisi sarebbe davvero il ritorno al voto, il rimpasto è stato archiviato ed eventuali cinture di sicurezza di parlamentari di Forza Italia non sarebbero sufficienti, non c’è solo l’alternativa di un ribaltone, cioè il centrodestra con un pezzo di centrosinistra. C’è anche una terza via, azzardano dentro Italia Viva: una stessa maggioranza con un altro capo del governo. Una cosa è certa: non proprio un bel momento per le alchimie politiche. Altro che Terza Repubblica.