Chiariamo subito il punto. La riforma del Mes che si vota oggi in Parlamento c’entra poco o nulla con i prestiti per la sanità. Il Meccanismo europeo di stabilità esiste infatti dal 2012 ed è stato pensato come strumento per garantire stabilità finanziaria ai paesi euro (che sia servito davvero allo scopo è un altro paio di maniche) e questa rimane la sua funzione principale. La possibilità di erogare crediti, ai paesi che ne fanno richiesta, per interventi sanitari è un compito attribuito al Mes solo di recente a causa dell’emergenza Covid. Il motivo alla base della decisione è che il Mes avrebbe potuto essere più rapido nel mobilitare i finanziamenti, avendo alle spalle una struttura già pronta e rodata.
La riforma su cui si esprimerà il Parlamento non riguarda questi prestiti ma bensì compiti e modalità di funzionamento del Mes. E’ una riforma di cui si discute ormai da quasi tre anni, quindi da ben prima dello scoppio della pandemia. Il progetto era stata momentaneamente congelato, anche su richiesta italiana. Poi, il 30 novembre scorso i ministri economico finanziari della zona euro hanno trovato un’intesa definitiva sulla prima fase di modifica. La parola passa ora ai parlamenti dei vari stati, per l’approvazione finale serve l’unanimità.
A cosa serve il Mes? Il compito principale è quello di prestare soldi ai paesi che faticano ad accedere ai mercati finanziari. In sostanza il Mes assicura agli stati la possibilità di continuare a finanziarsi pagando interessi sostenibili anche quando gli investitori non sarebbero più disposti a comprare titoli di Stato se non dietro il pagamento di interessi molto elevati. Per farlo si interpone tra lo Stato e i mercati. In sostanza il Mes raccogliere direttamente finanziamenti sui mercati e poi “gira” i soldi al paese richiedente. Poiché ha alle sue spalle le garanzie di tutti gli stati membri dell’euro (possono arrivare fino a 700 miliardi di euro) la sua affidabilità è maggiore rispetto a quella di un singolo stato specie se in difficoltà. Quindi gli investitori sono disposti a prestare il loro denaro in cambio di interessi più bassi. La funzione è insomma un po’ quella di uno scudo. Il problema è che quando un paese bussa alla porta del Mes, viene accolto solo se accetta delle condizioni. In sostanza se presta i soldi, il fondo può mettere bocca nelle politiche economiche del paese richiedente, pretendere riforme o tagli alle spese. Le poche volte che è stato usato, dalla Grecia, dal Portogallo o dalla Spagna, il Meccanismo europeo di stabilità non si è guadagnato una buona reputazione. Forse era inevitabile ma sta di fatto che questi precedenti hanno reso politicamente “tossici” i suoi finanziamenti.
Cosa prevede questa riforma e perché è contestata in alcuni suoi punti? – Un primo elemento di novità è la possibilità di mobilitare i fondi del Mes anche a sostegno al sistema bancario. In particolare per far fronte ad improvvisi aumenti delle esigenze di liquidità di una o più banche. Quando le condizioni di mercato peggiorano una banca può incontrare problemi nel disporre di tutti i soldi liquidi di cui ha bisogno per il suo normale funzionamento. Questo non significa che la banca sia fallita, i problemi possono nascere dal fatto che in quel preciso momento fatica a vendere asset in suo possesso e a reperire così denaro liquido. Ma come recita un adagio finanziario…“liquidity kills fast”, la carenza di liquidità può uccidere rapidamente. Il nuovo Mes dovrebbe essere in grado di intervenire rapidamente per evitare guai peggiori. Inizialmente questa nuova funzione avrebbe dovuto scattare dal 2024 ma con le ultime modifiche si è deciso di anticipare al 2022. E’ un passo verso l’agognata unione bancaria europea che precede la creazione di un’ assicurazione unica sui depositi.
Oggi i depositi bancari sono assicurati fino a 100mila euro ma a farsi carico di questa tutela sono i sistemi bancari dei singoli paesi. L’ipotesi è quella di unificare tra tutti i paesi euro questa rete di sicurezza per i correntisti. Ad ostacolare questo “salto” è soprattutto la condizione di 4 paesi, uno di questi è l’Italia. Il nostro paese presenta un livello di crediti deteriorati (ossia prestiti bancari che non verranno più restituiti o lo saranno solo in parte), superiore al limite necessario per dar vita all’assicurazione unica. Paesi dove il sistema creditizio è meno esposto a rischi sono comprensibilmente restii a condividere i rischi con stati che presentano un pericolo di fallimenti bancari maggiore. Certo è che senza riforma del Mes l’assicurazione unica sui depositi si allontanerebbe ulteriormente, cosa che all’Italia non conviene.
Debiti pubblici e default, cosa cambia con la riforma – Più delicate le questione che riguardano il ruolo del Mes a sostegno degli stati. Il vero rischio non sembra essere tanto quello che il Mes venga usato come grimaldello per scardinare la sovranità di uno stato imponendone la ristrutturazione del debito, come paventato da alcuni critici. Piuttosto il pericolo è che la riforma cambi poco o nulla, condannando il Mes ad una sostanziale inutilità. Come abbiamo visto oggi il Fondo muove in soccorso dei paesi in difficoltà a condizione che firmino un accordo su un programma di interventi. In teoria la riforma dovrebbe rendere un po’ più semplice l’accesso ai finanziamenti. Uno stato che ha i conti in ordine potrebbe accedervi senza dover prima di concordare un piano di risanamento. Sarebbe sufficiente una valutazione preventiva delle sue condizioni finanziarie. Se sufficientemente solide il prestito verrebbe erogato anche senza firmare accordi di altro tipo. E’ un po’ una contraddizione in termini visto che se un paese fatica a finanziarsi sui mercati è proprio perché non ha conti particolarmente brillanti. Tutto naturalmente dipende da quanto saranno stretti questi criteri. Difficile che si valutino debiti e deficit come prima della pandemia. Se così fosse quasi tutti gli stati, Italia in primis, sarebbero tagliati fuori dagli aiuti senza condizioni.
Il dilemma delle Cac’s – C’è un altro elemento che preoccupa i paesi fortemente indebitati come l’ Italia. Sono le cosiddette Cac’s, le clausole di azione collettiva. Quando un paese decide di dichiarare default o è costretto a farlo, il piano di ristrutturazione del debito che ne consegue (ossia misure come l’allungamento delle scadenze dei titoli, il taglio ai rimborsi e/o agli interessi etc) deve essere approvato dai possessori dei titoli coinvolti. In passato per ogni tipo di titolo era necessario un voto. Le Cac previste nella riforma fanno in modo che basti una sola votazione per tutti i titoli coinvolti. Così si rende più semplice il processo di ristrutturazione del debito, e si evitano infiniti strascichi giudiziari. Perché potrebbe essere un male?
Secondo i critici il fatto che ricorrere al default sia più semplice, aumenta la probabilità che si ricorra davvero a questa opzione. Ma se le possibilità di default crescono, gli investitori si faranno pagare interessi più alti per prestare i loro soldi. Questi timori sono comprensibili in linea teorica ma appaiono però poco fondati nella pratica. Clausole di azione collettiva stanno venendo via via introdotte nei titoli di Stato di tutto il mondo, senza che si registrino apprezzabili conseguenze sul cosiddetto “premio al rischio”. Anzi, la possibilità di un procedimento ordinato in caso di default, finisce per rendere i titoli più allettanti. La modifica delle Cac’s per i titoli di stato dei paesi euro non è peraltro strettamente legata alla sola riforma del Mes e verrebbe introdotta in ogni caso. Più fondate sembrano le critiche che riguardano l’impianto generale della riforma. Secondo più di un osservatore il nuovo Mes nascerebbe già vecchio. La pandemia ha cambiato il mondo e persino la lenta Unione europea ha accelerato i suoi processi. L’avvio di programmi gestiti dalla Commissione Ue per reperire fondi sui mercati con una parziale condivisione del rischio tra gli strati membri, si pensi al programma Sure per finanziare le casse integrazioni o allo stesso recovery fund, rendono obsoleto il Meccanismo europeo di stabilità nel suo ruolo di intermediario tra stati in difficoltà e mercati.
Zonaeuro
Mes cosa cambia con la riforma che il Parlamento deve approvare e perché i fondi per la sanità non c’entrano nulla
La riforma è in cantiere da tre anni ed era stata bloccata dall'Italia prima dell'inizio dalla pandemia. Fondamentalmente le novità riguardano l'uso dei fondi Mes anche per il sostegno alle banche della zona euro, primo tassello in vista dell'obiettivo di un'unione bancaria. I rischi ipotizzati per i debiti dei paesi membri non sembrano trovare riscontri reali
Chiariamo subito il punto. La riforma del Mes che si vota oggi in Parlamento c’entra poco o nulla con i prestiti per la sanità. Il Meccanismo europeo di stabilità esiste infatti dal 2012 ed è stato pensato come strumento per garantire stabilità finanziaria ai paesi euro (che sia servito davvero allo scopo è un altro paio di maniche) e questa rimane la sua funzione principale. La possibilità di erogare crediti, ai paesi che ne fanno richiesta, per interventi sanitari è un compito attribuito al Mes solo di recente a causa dell’emergenza Covid. Il motivo alla base della decisione è che il Mes avrebbe potuto essere più rapido nel mobilitare i finanziamenti, avendo alle spalle una struttura già pronta e rodata.
La riforma su cui si esprimerà il Parlamento non riguarda questi prestiti ma bensì compiti e modalità di funzionamento del Mes. E’ una riforma di cui si discute ormai da quasi tre anni, quindi da ben prima dello scoppio della pandemia. Il progetto era stata momentaneamente congelato, anche su richiesta italiana. Poi, il 30 novembre scorso i ministri economico finanziari della zona euro hanno trovato un’intesa definitiva sulla prima fase di modifica. La parola passa ora ai parlamenti dei vari stati, per l’approvazione finale serve l’unanimità.
A cosa serve il Mes? Il compito principale è quello di prestare soldi ai paesi che faticano ad accedere ai mercati finanziari. In sostanza il Mes assicura agli stati la possibilità di continuare a finanziarsi pagando interessi sostenibili anche quando gli investitori non sarebbero più disposti a comprare titoli di Stato se non dietro il pagamento di interessi molto elevati. Per farlo si interpone tra lo Stato e i mercati. In sostanza il Mes raccogliere direttamente finanziamenti sui mercati e poi “gira” i soldi al paese richiedente. Poiché ha alle sue spalle le garanzie di tutti gli stati membri dell’euro (possono arrivare fino a 700 miliardi di euro) la sua affidabilità è maggiore rispetto a quella di un singolo stato specie se in difficoltà. Quindi gli investitori sono disposti a prestare il loro denaro in cambio di interessi più bassi. La funzione è insomma un po’ quella di uno scudo. Il problema è che quando un paese bussa alla porta del Mes, viene accolto solo se accetta delle condizioni. In sostanza se presta i soldi, il fondo può mettere bocca nelle politiche economiche del paese richiedente, pretendere riforme o tagli alle spese. Le poche volte che è stato usato, dalla Grecia, dal Portogallo o dalla Spagna, il Meccanismo europeo di stabilità non si è guadagnato una buona reputazione. Forse era inevitabile ma sta di fatto che questi precedenti hanno reso politicamente “tossici” i suoi finanziamenti.
Cosa prevede questa riforma e perché è contestata in alcuni suoi punti? – Un primo elemento di novità è la possibilità di mobilitare i fondi del Mes anche a sostegno al sistema bancario. In particolare per far fronte ad improvvisi aumenti delle esigenze di liquidità di una o più banche. Quando le condizioni di mercato peggiorano una banca può incontrare problemi nel disporre di tutti i soldi liquidi di cui ha bisogno per il suo normale funzionamento. Questo non significa che la banca sia fallita, i problemi possono nascere dal fatto che in quel preciso momento fatica a vendere asset in suo possesso e a reperire così denaro liquido. Ma come recita un adagio finanziario…“liquidity kills fast”, la carenza di liquidità può uccidere rapidamente. Il nuovo Mes dovrebbe essere in grado di intervenire rapidamente per evitare guai peggiori. Inizialmente questa nuova funzione avrebbe dovuto scattare dal 2024 ma con le ultime modifiche si è deciso di anticipare al 2022. E’ un passo verso l’agognata unione bancaria europea che precede la creazione di un’ assicurazione unica sui depositi.
Oggi i depositi bancari sono assicurati fino a 100mila euro ma a farsi carico di questa tutela sono i sistemi bancari dei singoli paesi. L’ipotesi è quella di unificare tra tutti i paesi euro questa rete di sicurezza per i correntisti. Ad ostacolare questo “salto” è soprattutto la condizione di 4 paesi, uno di questi è l’Italia. Il nostro paese presenta un livello di crediti deteriorati (ossia prestiti bancari che non verranno più restituiti o lo saranno solo in parte), superiore al limite necessario per dar vita all’assicurazione unica. Paesi dove il sistema creditizio è meno esposto a rischi sono comprensibilmente restii a condividere i rischi con stati che presentano un pericolo di fallimenti bancari maggiore. Certo è che senza riforma del Mes l’assicurazione unica sui depositi si allontanerebbe ulteriormente, cosa che all’Italia non conviene.
Debiti pubblici e default, cosa cambia con la riforma – Più delicate le questione che riguardano il ruolo del Mes a sostegno degli stati. Il vero rischio non sembra essere tanto quello che il Mes venga usato come grimaldello per scardinare la sovranità di uno stato imponendone la ristrutturazione del debito, come paventato da alcuni critici. Piuttosto il pericolo è che la riforma cambi poco o nulla, condannando il Mes ad una sostanziale inutilità. Come abbiamo visto oggi il Fondo muove in soccorso dei paesi in difficoltà a condizione che firmino un accordo su un programma di interventi. In teoria la riforma dovrebbe rendere un po’ più semplice l’accesso ai finanziamenti. Uno stato che ha i conti in ordine potrebbe accedervi senza dover prima di concordare un piano di risanamento. Sarebbe sufficiente una valutazione preventiva delle sue condizioni finanziarie. Se sufficientemente solide il prestito verrebbe erogato anche senza firmare accordi di altro tipo. E’ un po’ una contraddizione in termini visto che se un paese fatica a finanziarsi sui mercati è proprio perché non ha conti particolarmente brillanti. Tutto naturalmente dipende da quanto saranno stretti questi criteri. Difficile che si valutino debiti e deficit come prima della pandemia. Se così fosse quasi tutti gli stati, Italia in primis, sarebbero tagliati fuori dagli aiuti senza condizioni.
Il dilemma delle Cac’s – C’è un altro elemento che preoccupa i paesi fortemente indebitati come l’ Italia. Sono le cosiddette Cac’s, le clausole di azione collettiva. Quando un paese decide di dichiarare default o è costretto a farlo, il piano di ristrutturazione del debito che ne consegue (ossia misure come l’allungamento delle scadenze dei titoli, il taglio ai rimborsi e/o agli interessi etc) deve essere approvato dai possessori dei titoli coinvolti. In passato per ogni tipo di titolo era necessario un voto. Le Cac previste nella riforma fanno in modo che basti una sola votazione per tutti i titoli coinvolti. Così si rende più semplice il processo di ristrutturazione del debito, e si evitano infiniti strascichi giudiziari. Perché potrebbe essere un male?
Secondo i critici il fatto che ricorrere al default sia più semplice, aumenta la probabilità che si ricorra davvero a questa opzione. Ma se le possibilità di default crescono, gli investitori si faranno pagare interessi più alti per prestare i loro soldi. Questi timori sono comprensibili in linea teorica ma appaiono però poco fondati nella pratica. Clausole di azione collettiva stanno venendo via via introdotte nei titoli di Stato di tutto il mondo, senza che si registrino apprezzabili conseguenze sul cosiddetto “premio al rischio”. Anzi, la possibilità di un procedimento ordinato in caso di default, finisce per rendere i titoli più allettanti. La modifica delle Cac’s per i titoli di stato dei paesi euro non è peraltro strettamente legata alla sola riforma del Mes e verrebbe introdotta in ogni caso. Più fondate sembrano le critiche che riguardano l’impianto generale della riforma. Secondo più di un osservatore il nuovo Mes nascerebbe già vecchio. La pandemia ha cambiato il mondo e persino la lenta Unione europea ha accelerato i suoi processi. L’avvio di programmi gestiti dalla Commissione Ue per reperire fondi sui mercati con una parziale condivisione del rischio tra gli strati membri, si pensi al programma Sure per finanziare le casse integrazioni o allo stesso recovery fund, rendono obsoleto il Meccanismo europeo di stabilità nel suo ruolo di intermediario tra stati in difficoltà e mercati.
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Roma, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - "L’evento di oggi riguarda tre temi importanti per l'inclusione sociale: la diversity, la parità e il lavoro. In particolare sarà fatta un una disamina di quello che è lo stato attuale della situazione su questi tre temi sia dal punto di vista interno dell'istituto sia dal punto di vista dell’aspetto comunicativo e relazionale con tutti gli stakeholder esterni su queste tre tematiche". E' quanto ha dichiarato la consigliera di amministrazione dell’Inps Micaela Gelera a margine del convegno 'Diversità, pari opportunità e lavoro: diritti e nuove sfide' tenutosi alla sede Inps di Palazzo Wedekind a Roma.
Roma, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - “È un piacere oggi occuparsi di una tematica molto attuale come la parità di genere. È fondamentale affrontare questo tema con efficacia e in modo pragmatico. Stiamo valutando vari strumenti come i nidi condominiali, forme di assistenza pratica che servono subito alla famiglia e al datore di lavoro". E' quanto ha dichiarato il presidente dell’Inps Gabriele Fava a margine del convegno 'Diversità, pari opportunità e lavoro: diritti e nuove sfide', tenutosi alla sede Inps di Palazzo Wedekind a Roma.
Venezia, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - "Ringrazio per avermi invitato a partecipare a LetExpo, tanto più in questo panel dedicato alle opportunità per i talenti di domani, perché l'idea di poter collaborare alla creazione di un mondo del lavoro migliore è quella che oltre due anni fa mi ha spinto ad accettare l'incarico come ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Un saluto anche al presidente di Rete Its Italia, Guido Torrielli. Proprio sulla formazione tecnica ci siamo fortemente impegnati nella consapevolezza che la domanda di competenze in quest'ambito sia in crescita costante anche per effetto delle transizioni in corso". Così la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Elvira Calderone, in un video messaggio inviato fiera Letexpo.
Secondo Calderone, "una tipologia di formazione che si sta rivelando capace di rispondere alle esigenze delle imprese e per preparare i giovani alle sfide del futuro in contatto diretto col mondo delle imprese, perché l'innovazione con cui tutti noi ci confrontiamo può essere declinata in varie forme, ma sono convinta racchiuda un bacino di opportunità da indagare, conoscere e sperimentare, una sfida costante per tutti noi e ancora di più per i giovani che si affacciano ora al mondo del lavoro", ha sottolineato. "Tra le opportunità che l'innovazione ci consegna c'è per esempio quella di ridurre le distanze come ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Lo stiamo per esempio vedendo attraverso la piattaforma Siisl, un esempio concreto di come la tecnologia possa permetterci di costruire un ufficio del lavoro capace di entrare nelle case delle persone, aumentare attraverso l'intelligenza artificiale il matching tra le competenze cercate dalle imprese e quelle in disponibilità dei lavoratori", ha spiegato.
Calderone ha ricordato che "dallo scorso dicembre tutti i cittadini e le imprese possono accedere per caricare i propri curricula o le proprie ricerche di personale e i primi dati sono risultati estremamente incoraggianti. 840.000 cittadini iscritti attivabili al lavoro, 450.000 curriculum vitae caricati in piattaforma, ben 500.000 cittadini attivati e 50.000 cittadini assunti con contratto di lavoro dipendente. Mi auguro quindi che questo vostro evento possa essere un'occasione per discutere, trovare forme di collaborazione, per promuovere modelli sostenibili e innovativi anche nel settore dei trasporti, della logistica e dei servizi alle imprese", ha concluso.
Roma, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - "Il bonus nido è importante in particolare per le donne perchè è un aiuto reale. Io sono per una genitorialità condivisa, che tutti i congedi siano paritari ma il bonus nido oggi per le donne è una misura che aiuta. Io sono convinta che se si fanno più asili nido, se si danno più bonus nido, si aiutano le donne a non dimettersi dal lavoro". Lo ha detto Maria Luisa Gnecchi, consigliera di amministrazione Inps, intervenendo al convegno dell'Istituto 'Diversity, pari opportunità e lavoro: diritti e nuove sfide'.
Roma, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - "Oggi è un'occasione unica per parlare di un'azienda che ha 25mila dipendenti, con una diffusione sul territorio, su un tema attuale come quello della parità di genere. Gestire bene le persone è fondamentale, gestirne le diversità, e lo possiamo fare nei contratti collettivi di lavoro, ma tutto dipende soprattutto dall'attuazione di questi che si fa nelle amministrazioni. Monitorare quello che avviene nelle amministrazioni è fondamentale, ad esempio sull'assegnazione delle posizioni organizzative". Lo ha detto Antonio Naddeo, presidente dell'Aran, intervenendo al convegno Inps 'Diversity, pari opportunità e lavoro: diritti e nuove sfide'.
Per Naddeo "la cura delle persone è fondamentale e comportamenti e atteggiamenti nelle amministrazioni sono fondamentali al riguardo", ha concluso.
Roma, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - "La vera sostenibilità di un'azienda è preservare il capitale umano, curare le persone che sono nell'azienda, fare attenzione che ricevano un trattamento equo, a prescindere da situazioni di genere o di disabilità. L'Istituto fa politiche effettive, concrete, in materia di politiche di genere, ed è la sfida che ci siamo posti quando abbiamo pensato alla certificazione sulla parità di genere. Dalle parole si deve passare ai numeri. L'Istituto ha 606 sedi sul territorio, c'è bisogno che queste politiche arrivino e vivano fino alle sedi più piccole sul territorio". Lo ha detto Giuseppe Conte, direttore centrale risorse umane Inps, intervenendo al convegno dell'Istituto a Roma 'Diversity, pari opportunità e lavoro: diritti e nuove sfide'.
Roma, 12 mar. (Adnkronos/Labitalia) - "L'Istituto ha creduto nell'avvalersi di questo strumento che garantisce che enti pubblici e aziende private mettano in campo politiche di parità e di inclusione. Attraverso l'alleanza tra governance, organi e tecnostruttura, abbiamo percorso la procedura per arrivare ad avere questa certificazione. E' un traguardo ma è anche un punto di partenza, dobbiamo ancora mettere in campo azioni di miglioramento concrete, con uno spirito di squadra, in cui sono tutti protagonisti con azioni virtuosi per raggiungere nuovi miglioramenti". Lo ha detto Maria Giovanna De Vivo, presidente Cug Inps, intervenendo al convegno dell'Istituto ''Diversity, pari opportunità e lavoro: diritti e nuove sfide'.