Tredici anni di carcere per concorso esterno con la ‘ndrangheta, favoreggiamento, rivelazione di segreto istruttorio e omissione d’atti d’ufficio. La sentenza di primo grado emessa dai giudici del tribunale di Crotone certifica i rapporti tra le cosche e il carabiniere forestale Carmine Greco, ex comandante della stazione di Cava di Melis nel comune di Longobucco, arrestato nel luglio 2018 nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e dei sostituti della Dda Domenico Guarascio e Paolo Sirleo. Il pm, durante la requisitoria, aveva chiesto 16 anni per Greco che nel 2012 era stato anche nominato dall’ex ministro all’Ambiente Corrado Clini consigliere per le tematiche inerenti ai parchi nazionali.

Conosciuto negli ambienti criminali con il soprannome di Carminuzzo, stando all’inchiesta il maresciallo da una parte favoriva gli imprenditori Spadafora, ritenuti espressione delle cosche cirotane e finiti nell’inchiesta “Stige”, e dall’altra, anche grazie ad alcune prove confezionate ad arte, si faceva aiutare da questi per manipolare le indagini delegate dalla Procura di Castrovillari. I presunti rapporti tra Greco e gli Spadafora vennero resi noti nel gennaio 2018 con il blitz dell’operazione contro la cosca Farao-Marincola di Cirò Marina. Nelle carte di quell’inchiesta è infatti emerso che, con il tempo, gli Spadafora da semplici “imprenditori di fiducia” delle cosche sono diventati “il braccio” della consorteria mafiosa. Tramite loro “la ‘ndrangheta avvicinava guardie forestali che si ponevano a disposizione e orientavano i controlli secondo il gradimento dell’associazione criminale”.

“Guardiamo quattro cose e ce ne andiamo. Non si vede un cazzo, poi ci sediamo e scriviamo”, si legge nelle carte. Tra la ‘ndrangheta e il sottoufficiale arrestato era insomma un do ut des. E al maresciallo, secondo i pm, ogni tanto serviva qualcuno da dare in pasto ai magistrati. In un’intercettazione, gli investigatori sentono parlare di lui: “Gli facevano fare numeri… denunce, arresti. Che cazzo gliene fregava”. Tra i numeri c’era anche Antonietta Caruso, la dirigente di Calabria Verde (la società in house della Regione Calabria) fermata a un posto di blocco con 20mila euro appena ricevuti dagli amici Spadafora per una pratica relativa a un lotto boschivo. In sostanza il maresciallo si è fatto aiutare dall’imprenditore, Antonio Spadafora, utilizzato come “agente provocatore” e spacciato quasi come un soggetto “concusso” e non vicino alla ‘ndrangheta, come invece è emerso nell’inchiesta “Stige”.

L’indagine sul maresciallo Greco si intreccia poi con quella a carico dell’ex procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, lo scorso ottobre rinviato a giudizio per corruzione e falso dal gup di Salerno, competente per i reati che riguardano i magistrati del distretto di Catanzaro. Un processo in cui è imputato lo stesso maresciallo Greco per una “falsa e retrodatata” relazione sull’imprenditore Spadafora redatta quando già era sotto inchiesta dalla Procura di Catanzaro per concorso esterno in associazione mafiosa. All’epoca il maresciallo era sotto intercettazione. E dalle sue telefonate è emerso che aveva manipolato un’indagine che stava conducendo per conto della Procura di Castrovillari sulla dirigente della Regione Calabria. Secondo i pm di Salerno, prima del suo arresto, Greco e l’allora procuratore Facciolla avrebbero cercato mettere una pezza: “Concordavano – è scritto nel capo di imputazione – la redazione di una annotazione nella quale fossero descritte le attività informative che il militare dell’Arma aveva acquisito mesi prima nel corso delle interlocuzioni con Spadafora”. Un documento poi risultato “materialmente falso”.

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