di Franco Failli
Nove mesi separano il 9 dicembre dallo scatto del primo lockdown totale del 9 marzo 2020. In quella data moltissimi di noi hanno iniziato a lavorare da casa e tanti non hanno più smesso, se non per brevissimi periodi. Si possono dunque cominciare a fare delle osservazioni non più di “colore” ma che vanno più in profondità. E si potrebbe cominciare dal notare come si sia passati dal provare all’inizio una sensazione di grande velocità che adesso si è però trasformata in quella di una grande lentezza.
Nei primi tempi di lavoro online fu evidente che l’annullamento di tutti i tempi morti dovuti agli spostamenti permetteva un addensamento di eventi prima impensabile. Stavamo, per così dire, “esaurendo l’agenda”, e gli impegni già presi da tempo potevano essere sbrigati con minori difficoltà e costi. Oggi la sensazione per molti di noi è cambiata. Capita sempre più spesso di sentire persone che si lamentano che lavorando in remoto “è tutto più lento”. Perché? Perché una buona parte di quelli che chiamavamo “tempi morti” erano in realtà assai vivi. Erano i momenti in cui, spostandosi da un ambiente all’altro, ci si incontrava nei corridoi, per le scale, in ascensore. Capitava di incontrarsi al parcheggio e al bar, che in Italia è da sempre un potentissimo hub sociale (come dice Marco Malvaldi), in cui si possono creare relazioni e contatti casuali tra tutti noi, senza distinzioni di sorta. Si scambiavano cioè informazioni, anche importanti, con una frequenza e una densità molto maggiori di quanto non sia possibile fare parlandosi al computer.
La chiave era la casualità, che non è sempre caos. Anzi. La casualità è anche ciò che rende possibile far nascere una idea inaspettata, mostrare come cogliere una occasione insperata, ricevere una informazione di cui non si sospettava l’esistenza. In una parola: velocità. Oggi invece, per chi fa smart working, non esiste contatto che non sia voluto o da entrambi i soggetti o almeno da uno dei due. Non esistono più i contatti imprevisti. E quindi quella enorme quantità di informazioni che veniva scambiata alla macchinetta del caffè non passa più, o passa a stento. E da qui, la lentezza.
E’ un po’ il confronto tra l’economia capitalista, dinamica e pronta a cogliere qualsiasi occasione, e quella sovietica, che andava avanti a piani quinquennali, nei quali si pretendeva di aver previsto tutto e nulla era casuale. Quale diremmo che è più veloce? Chi ha vinto? L’imprevisto è da sempre un elemento fondamentale delle nostre vite, non solo per il lavoro e l’economia. In questo tempo di statistiche drammatiche sarebbe interessante che qualcuno si informasse su quanti sono quelli che si sono innamorati negli ultimi mesi. Mi aspetterei fossero meno del solito. Cosa c’è infatti di più casuale e “fulmineo” dell’innamorarsi? Ci si può innamorare su Meet o Skype? Forse, ma credo sia assai più difficile. Anche chi usa i siti di incontri, lo fa per poi vedersi in carne ed ossa, nella maggior parte dei casi.
Imprenditori, tecnici, scienziati e impiegati possono lavorare proficuamente e far procedere l’umanità con idee grandi e piccole come hanno sempre fatto, solo parlandosi al computer? Io credo di no. Gli effetti di un uso massivo di questo mezzo già si vedono, con quella sensazione di fatica e rallentamento dalla quale siamo partiti, che è la sorella meno visibile di quella alienazione e solitudine che per molti è invece l’effetto più immediato e intuitivo legato al lavorare da soli, a casa.
Gli effetti positivi legati al lavoro a distanza esistono, e li abbiamo potuti sperimentare a causa di questa terribile emergenza che nei mesi di lockdown più duro ha fatto di nuovo respirare l’ambiente naturale intorno a noi e ci ha permesso di salvare moltissime vite, oltre che capire che modi diversi di vivere e lavorare possono esistere. Adesso che, con fatica, ci siamo un po’ liberati dalle vecchie abitudini, si tratta di non prenderne di nuove, magari peggiori delle precedenti.