Le festività si avvicinano. Per gli altri, eh, mica per noi qui a scuola; noi a quanto pare non facciamo niente o comunque facciamo poco, altrimenti non ci direbbero che dobbiamo recuperare. Non ho capito bene se dobbiamo recuperare il tempo perso (ma perso esattamente quando? e chi è che ce lo fa perdere?), se dobbiamo recuperare le lacune (ma di chi? anche quelle di chi perde tempo?), o se dobbiamo recuperare le forze.
Ma per una volta siamo propositivi, su, e mettiamo le nostre competenze a disposizione della comunità. O almeno di quei membri della comunità che stanno già pregustando il modo di aggirare i decreti e il buon senso, pianificando cenoni e veglioni negli alberghi. Magari ho capito male io, ma mi sembra di aver inteso che non si può fare un chilometro dal comune di Case Sparse a quello di Sparpagliati di Sotto per passare il Natale con mammà, però si può prenotare una stanza d’albergo nel proprio Comune, ammesso che ce ne sia uno (Case Sparse pullula di hotel, Dubai scansati proprio), cenare nel ristorante dell’albergo o anche in camera, e trascorrere così una piacevolissima serata.
Ora. Sarà che a pensar male si fa peccato ma ci si prende quasi sempre. Sarà deformazione professionale. Ma a me la terrificante combinata di “stanze d’albergo” più “gente che cerca la maniera di fare casino assieme” evoca immediatamente una cosa sola: le gite scolastiche. Sì, non si possono più fare, sono passate di mente a tutti, eppure una volta c’erano. Ma davvero si pensa che nelle grandi città i ragazzi prenoteranno stanze d’albergo per starsene in solitudine in camera a cenare sul tavolino col cestino dei campioncini da bagno, guardando in televisione le repliche di don Matteo? Ma questi tempo dieci minuti e hanno invitato in stanza gli occupanti di tutto il piano. Saranno le nostre gagliarde forze dell’ordine (le guardie, 24 nella Smorfia) in grado di vigilare sugli assembramenti notturni illeciti di San Silvestro?
No, me lo chiedo perché noi insegnanti eravamo capaci, in gita non facevamo altro, eravamo addestrati a restare insonni a fare le ronde, riconducendo all’ovile lo stesso numero di gitanti dopo tre, a volte cinque, giorni di follia. Già che qui si arruolano task force ogni giorno, io, signor Presidente, ci farei un pensierino. Senta al Ministero dall’Istruzione, vedrà che le diranno che siamo capaci: una bella task force di insegnanti preposta a sgominare i festoni abusivi.
Regola numero uno: il silenzio non significa nulla. Anzi, come per i bambini, è un chiaro segnale di allarme, più è silenziosa una stanza più alte sono le probabilità che al suo interno vengano ordite perigliose trame. Regola numero due: inutile entrare come i poliziotti dei telefilm americani, prendendo a spallate la porta e sperando di coglierli in flagrante. In genere si entra con clamore nell’unica camera dove il solitario si sta guardando in pace la partita mentre i compagni sono ammucchiati altrove.
Regola numero tre: se in una stanza non c’è nessuno, non vuol dire che sia vuota. Ispezionare armadi, cassettiere, cabine doccia. Una volta trovai uno studente nel sottomobiletto del bagno. Uno si nascose sotto gli asciugamani usati. Una camera doppia uso tripla può contenere un’intera classe, diciamo fino a 25 persone, 26 se contiamo anche il solitario che si guarda la partita, ma che alla fine passa di là a vedere se è rimasto qualcosa da mangiare. Regola numero quattro: l’unica tecnica che funziona è quella del logoramento. Ricondurre i legittimi abitanti presso le proprie stanze a intervalli regolari di cinque, dieci minuti.
Così, era solo per rendersi utili, visto che a quanto pare non stiamo facendo niente io mi metto a disposizione della patria. Anche perché gli ammucchiati della camera 20 (la festa), esattamente sette giorni dopo la tombola di Capodanno, ce li ritroviamo garruli e festanti nell’aula 17 (la disgrazia), speriamo tutti sani ma chissà, dopo aver preso il bus tutti insieme appassionatamente. E allora l’ultimo numero a uscire di questo tombolone sarà inevitabilmente il 90 (la paura).