Addio Pablito! E’ scomparso Paolo Rossi da Prato: trasformò il sogno impossibile dei tifosi italiani nei sei gol che fecero vincere all’Italia un superbo Mundial 1982. Aveva 64 anni. Fece piangere il Brasile, si disse allora. Lui lo scrisse in un libro in cui si raccontò con stile arguto e spiazzante: quello, in fondo, delle sue giocate imprevedibili. Ebbe tante vite: in una, durante la nefasta stagione del campionato 1979/1980, rimase invischiato nello scandalo del Totonero. Fu infatti uno dei 27 giocatori di serie A e B coinvolti nel calcioscommesse. Subì la squalifica per un illecito sportivo di cui si disse estraneo: un Perugia-Avellino che doveva finire in pareggio. Come successe: 2-2, i due gol del Perugia li segnò Rossi.
Era già un idolo degli stadi. Dal 1980 al 1982 visse anni di vergogna e rabbia. Ventiquattro mesi all’inferno. L’onta del processo. La squalifica. Il dolore della famiglia. Il disgusto per il calcio. La voglia di piantar tutto. Quella 2-2 finì tra le partite marce e Rossi fu il capro espiatorio: “Quella domenica di marzo, nel famoso blitz agli stadi, giocavamo a Roma. Quando i carabinieri arrestarono Zecchini e Della Martira, io e i miei compagni ci chiedemmo cosa mai potessero aver combinato. Non ci sfiorava il pensiero che fosse collegato al calcio. Poi ho saputo, e purtroppo sono stato coinvolto pure io. Ma durante tutto il periodo, dalla mia sospensione ai processi, ogni giorno pensavo: adesso salta fuori la verità, l’incubo finisce, non può che andare così. Ho vissuto come se tutto accadesse a un altro. Aspettavo il processo come una liberazione, invece… Lo giuro, mai ho immaginato di poter avere nemmeno un giorno di squalifica. Quando poi la Caf mi ha soltanto tolto un anno, mi è crollato il mondo addosso. Sono scappato a casa a Prato, e ho visto mio padre disperato e mia madre che piangeva: lì ho realizzato davvero cosa mi era capitato. Mi avevano tolto due anni di lavoro, due anni di vita. E ripensai alle parole di Simonetta, allora mia fidanzata: ‘Paolo, attento, ti vogliono incastrare‘. Anche ora sono convinto di essere stato strumentalizzato. Federazione e giustizia sportiva hanno voluto usare la mano pesante: non potevano scagionare il più famoso e condannare gli altri”.
Poi, come nei grandi romanzi dell’Ottocento, la caparbia volontà di riemergere dal fango. Dal disgusto. “Mi ha salvato la consapevolezza d’essere innocente”. E la Juve. Che gli concede fiducia. E un contratto dal marzo del 1981: “Mi sono sentito di nuovo calciatore”, ricordò Pablito, “la lettera di convocazione adesso farebbe ridere. Diceva di presentarsi con i capelli corti, indicava cosa mangiare e cosa bere. Boniperti era un mago in queste cose. Quando arrivai mi disse: Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo”. E così fu. Sposa la fidanzata, avranno un figlio (nel 2010 divorzierà per risposarsi con Federica, una giornalista, che gli darà due figlie).
Il gran giorno del ritorno fu a poche settimane dall’avventura spagnola, nel maggio del 1982. La Juve va in trasferta a Udine e vince. In campo c’è Paolo Rossi: “Due anni di silenzio mi avevano maturato. Avevo capito che nella vita non c’era solo il calcio”. Ma è col calcio che vuole riprendersi la vita perduta.
Il resto è ormai storia: libri, film, documentari, le serate come opinionista a Sky e alla Domenica Sportiva. Distillava commenti disincantati, arguti, mai banali. La mitica spedizione al Mundial è stata vivisezionata, esaltata, perpetuata. Dopo i tre pareggi del girone di qualificazione con relative polemiche – la più feroce, sul pari col Camerun che il mio amico Oliviero Beha disse fosse frutto di un patto e cercò di dimostrarlo – ecco che arrivano le inaspettate vittorie con l’Argentina campione del mondo, con il Brasile dei fuoriclasse, con la solida Polonia e la rocciosa Germania in finale, quando in tribuna si nota un tifoso d’eccezione, il presidente Pertini che riversa il suo entusiasmo su un divertito re Juan Carlos.
Confesserà Pablito nel suo libro che il primo gol al Brasile “lo ricordo come il più bello della mia vita. Non ho avuto il tempo di pensare a nulla: ho sentito come un senso di liberazione. E’ incredibile come un episodio possa cambiarti radicalmente: niente più blocchi mentali e fisici. Dopo quel gol, tutto è arrivato con naturalezza”. Lo sport è anche tante storie di riscatti e di resurrezioni, di sofferenze e di penitenze. Con quel suo nome da italiano qualunque, Paolo Rossi era tutti i Paolo Rossi d’Italia finalmente orgogliosi di non essere più anonimi. Pablito aveva riscritto il copione di vite sbiadite, dando loro le luci della sua ribalta. Perché aveva vinto la guerra con la vita. Purtroppo, la guerra con la morte prima o poi ci tocca perderla. A lui è toccato perderla presto. Nessuno ci toglierà Pablito dal cassetto dei ricordi.