“Alcuni pensano che questo piano sia una legge di bilancio o la panacea di tutti i mali, invece segue le linee indicate dall’accordo del 21 luglio dove si decise tutti e 27 di investire nella transizione ecologica e digitale“. Ed è stato scritto “sulla base degli atti votati dal Parlamento e delle linee guida Ue che hanno indicazioni chiare sulla distribuzione del budget e le riforme da realizzare”. Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola, in un’intervista al Sole 24 Ore, assicura che su piano e task force per il Recovery il governo è aperto al confronto ma gli spazi di manovra rispetto alla bozza non sono ampi. Perché l’ossatura del Recovery plan è stabilita dalle linee guida europee in base alle quali almeno il 37% dei fondi devono andare alla transizione ecologica e almeno il 20% al digitale.
“Escluso quel 60%”, continua il ministro, “dobbiamo far fronte anche alle richieste per unire l’Italia con le infrastrutture, potenziare l’istruzione e investire su politiche attive del lavoro e occupazione femminile“, tutte indicazioni contenute nelle Raccomandazioni paese della Ue di cui ogni Stato deve tenere conto nella stesura del suo Piano. Anche per questo per la sanità sono rimasti “solo” 9 miliardi, a cui però, ricorda Amendola, “vanno aggiunti anche altri dedicati all’efficientamento delle strutture ospedaliere”. Considerati i paletti entro i quali era necessario muoversi e il fatto che “nel Next Generation Eu non è previsto lo sforamento di bilancio”, dunque, le modifiche non potranno essere sostanziali. Ma nell’ambito dei capitoli di spesa stabiliti saranno possibili: appena il Cdm libererà il testo, “questa proposta, sottolineo “proposta”, sarà inviata alle Camere, a Regioni e Comuni, alle parti sociali per discuterne anche i cambiamenti”, spiega Amendola. Il dialogo “con Confindustria e sindacati in primis sarà decisivo anche per calibrare o cambiare le 52 linee di intervento”. Poi “l’aggiornamento del piano si concluderà solo in vista della proposta finale, quando sarà finalizzato il Regolamento europeo. Presumo a febbraio“.
Quanto alle polemiche per la presunta “segretezza” dei lavori, il ministro ricorda che “sulla base degli atti votati dal parlamento e delle linee guida Ue un comitato di tecnici tra Chigi, Mef, Ragioneria e il mio ministero ha lavorato con ministeri e tutti i soggetti coinvolti” e “a livello di governo con i tecnici dei ministeri abbiamo fatto 19 comitati operativi e bilaterali settimanali. Non mi pare un lavoro sconosciuto”.
Infine la cabina di regia, oggetto dello scontro frontale con Italia viva, la Commissione “ha chiesto nelle sue linee di guida del 17 settembre, quindi non solo all’Italia, che gli Stati membri individuino un soggetto che svolga il ruolo di coordinatore del Pnrr. Una unità di missione responsabile dell’attuazione in sinergia con i ministeri coinvolti, che assicuri il monitoraggio e il reporting a Bruxelles. La Commissione sottolinea che questa struttura tecnica dovrà avere capacità amministrative, autorità e risorse umane adeguate. Del resto, anche a livello europeo si è creata una task force apposita che lavora insieme ai commissari per rendere operativo questo percorso di investimenti comuni”. Ma la Ue chiede che abbia poteri sostitutivi per attuare il piano? “La Ue rimanda agli Stati le definizioni dei poteri delle task force. Per ora c’è un lavoro tra i tecnici dei ministeri per delineare i contorni di una norma che invieremo in Parlamento. Non c’è nessun segreto di Stato o tentativi di golpe, come sento dire. La verità è che i fondi vanno impegnati al 2023 e spesi al 2026, pena la perdita secca se i progetti non si realizzassero”.
La proposta che prevede la cabina di regia politica a tre, i sei manager responsabili delle missioni e la task force di tecnici “verrà discussa in Cdm e poi in Parlamento. Tutti potranno proporre soluzioni migliorative, consapevoli però del cronoprogramma. Come in passato, vedi Expo o Ponte Morandi, se obiettivi e rischi sono chiari, le norme vengono di conseguenza”.