A settembre erano trenta in tutta Milano. Due mesi dopo, sono quasi 1.500. All’Asst di Varese a settembre erano quattro, diventati 200 a ottobre e 386 a novembre. A Como sono raddoppiati in un mese, da 106 a 201. Sono gli operatori sanitari che si sono infettati negli ospedali milanesi e lombardi per salvare i loro concittadini che venivano ricoverati nei reparti di terapia intensiva. Da marzo ha assunto molti nomi: la “strage dei camici”, la Spoon River dei medici. Ma questo già durante la prima ondata, quando al personale sanitario in prima linea mancavano persino guanti e mascherine per proteggersi dal nemico invisibile. Si disse allora che i medici erano stati mandati in prima linea senza armi: ed era così. I dispositivi sono poi arrivati, ma la strage va avanti nella seconda ondata con numeri che fanno paura, mentre già si parla della terza. Quello dei deceduti a livello nazionale è salito a 238, il numero dei sanitari infetti è salito vertiginosamente fino a superare i 33mila.

Si comprendono le parole di Walter Ricciardi, professore d’Igiene e Sanità Pubblica alla Cattolica e consulente del ministero della Salute: “Nel nostro Paese non riusciamo a curare i pazienti Covid e nemmeno gli affetti da altre patologie perché stiamo conducendo una guerra in cui il nostro esercito di operatori sanitari è in progressiva decimazione”. Il presidente dell’ordine dei Medici Filippo Anelli non si capacita di questa vera e propria strage. Le mascherine – salvo eccezioni – ci sono, gli ambienti vengono sanificati. Una delle ipotesi nel caso di decessi tra medici ospedalieri sia legato “all’eccessiva pressione sulle strutture, con i medici che spesso fanno turni di lavoro a oltranza anche a causa delle carenze degli organici – sostiene Anelli – Un superlavoro che può portare ad un calo dell’attenzione nella frenesia di garantire l’assistenza nonostante le carenze di personale”. Per capire gli elevati tassi di mortalità l’associazione di categoria ha proposto, in accordo col ministro Speranza, un monitoraggio sul territorio.

Non promettono nulla di buono i numeri che arrivano dalla Lombardia, la grande malata che fu risparmiata a marzo per esser colpita più duramente in autunno. In Commissione Sanità l’assessore Giulio Gallera ha snocciolato dati che sembrano dar ragione alle associazioni di categoria quando gridano al personale sanitario mandato al macello anche nella seconda ondata. Una tabella dice più di tante parole (guarda). Rappresenta i dati relativi alla distribuzione dei contagi tra gli operatori sanitari adibiti ad attività di assistenza per Asst e per Provincia, a partire da settembre e fino al 24 novembre 2020. Sono 30 ospedali in 12 province, compresi i 18 hub regionali covid. La progressione è spaventosa: a settembre gli operatori infetti totali erano 64, a ottobre salgono a 2.424 per arrivare a 3.518 a fine novembre. Ci sono strutture dove i sanitari infettati raddoppiano e quasi triplicano in meno di un mese. Non solo nell’area metropolitana ma anche in provincia. Succede, ad esempio, all’Asst Ovest Milanese che passa da 99 a 250, all’Asst Lecco che passa da 64 a 124. A Varese, risparmiata dalla prima ondata, si contava 1 operatore infetto a settembre, 187 a ottobre e 211 a fine novembre.

Il contagio è corso soprattutto tra le corsie. Lo rende più evidente il parallelo con i dati dei pazienti ricoverati nelle singole strutture. Per stare su Milano, al Fatebenefratelli-Sacco il 17 novembre si contavano 328 pazienti in terapia intensiva e i medici infettati sono 230. Ai Santi Paolo e Carlo 319 pazienti e 254 sanitari contagiati. Al Niguarda 337 pazienti in terapia e 275 camici malati. Poco ci manca che il rapporto arrivi uno a uno. La prova del nove? I numeri delle due categorie calano drasticamente negli ospedali “non covid”, dove i pazienti contagiosi sono pochi, ma il rapporto coi medici infettati si mantiene costante: il traumatologico Gaetano Pini, ad esempio, ospita 22 pazienti e ha 21 medici infetti.

Questi dati preoccupano in una Regione che ha spinto al massimo per uscire dalla zona rossa mentre già si parla di terza ondata. “Il fatto che la percentuale di contagiati tra operatori sanitari sia molto alta fa emergere la carenza di una direzione da parte della direzione generale Welfare rispetto l’adeguamento della valutazione dei rischi e le eventuali misure per contrastare questo fenomeno”, accusa il consigliere Gregorio Mammì (M5s). Nella prima seduta dell’ufficio di presidenza proporrà alla Commissione Salute di affrontare questo importante argomento istituzionalmente “in modo da riuscire a dare la giusta tutela ai lavoratori della sanità. “Durante le audizioni abbiamo più volte riscontrato comportamenti diverso per ogni Asst senza una programmazione della sicurezza sul lavoro. Ancora oggi la fornitura di Dpi e la formazione rispetto al loro corretto utilizzo è molto confusa. Come segretario della commissione pretenderò già dalla prima seduta dell’ufficio di presidenza di affrontare questo importante argomento istituzionalmente in modo da riuscire a dare la giusta tutela ai lavoratori della sanità”. Per verificare cosa succeda negli ospedali cittadini la consigliera Pd Carmela Rozza inizierà un tour tra pronti soccorso e reparti d’urgenza. “Martedì sarò al Sacco e poi al Fatebenefratelli, ho inoltrato la richiesta a tutte le direzioni perché voglio capire in quali condizioni lavorano i medici nei reparti a rischio”.

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