Con un comunicato di due paragrafi e una transazione al fisco di 678.393,72 euro, Juan Carlos I ha deciso di agire prima che lo faccia la giustizia spagnola. Il re emerito, in esilio da agosto negli Emirati Arabi, ha ammesso le sue colpe nel caso dei fondi non dichiarati che avrebbe utilizzato attraverso carte di credito intestate all’oscuro imprenditore messicano Allen Sanginés-Krause. La cifra comprenderebbe “interessi e sovrattasse”, ma spetta al Tesoro analizzare le carte e decidere se è sufficiente.
Gli avvocati avevano già presentato una proposta di regolarizzazione fiscale la scorsa domenica, giorno dell’anniversario della Costituzione. Le prime indagini stimavano l’evasione a 500mila euro spesi anche da altri membri della famiglia reale —escludendo l’attuale monarca Felipe VI— per finanziare viaggi, soggiorni in hotel o cene nei ristoranti. La legge spagnola permette di risolvere la situazione con il fisco prima che l’Agenzia Tributaria o la Magistratura presentino una denuncia formale per delitto fiscale contro l’indagato. Per estinguere il debito, Juan Carlos avrebbe dovuto pagare almeno il 70% degli introiti non dichiarati, in quel caso circa 350mila euro, e presentare una dichiarazione dei redditi con tutte le entrate omesse da sottoporre al vaglio delle autorità. Se riuscirà nel suo intento, sarà esentato da altre possibili accuse subordinate al caso, come quella per riciclaggio.
L’indagine sulle carte di credito di Sanginés-Krause rappresentava una grande fonte di preoccupazione. Il re emerito avrebbe infatti usufruito di quei fondi tra il 2016 e il 2018, ovvero dopo la sua abdicazione avvenuta nel 2014, anno in cui ha perso l’immunità che il suo ruolo gli concedeva. Ma ci sono due casi ben più gravi ancora aperti. Juan Carlos avrebbe ricevuto una commissione di 65 milioni di euro dell’allora sovrano dell’Arabia Saudita Abdullah bin Abdulaziz per la costruzione da parte di un’impresa spagnola di un treno ad alta velocità a La Mecca. L’ingente somma è stata poi donata alla sua amante dell’epoca, Corinna Larsen, che ha depositato tutto in un conto delle Bahamas. Al padre di Felipe VI sarebbe legata anche una trama di società in paradisi fiscali, un’accusa che il suo entourage respinge con fermezza.
Il sistema spagnolo obbliga a dichiarare al fisco qualsiasi bene o patrimonio estero superiore ai 50mila euro. In caso non venga fatto, la multa può raggiungere il 150% della quantità non dichiarata. Questa normativa, conosciuta come modello 720, è stata aspramente criticata dall’Unione europea, che ha minacciato di denunciare la Spagna al Tribunale di Strasburgo. Il codice a cui Juan Carlos si è appellato per fare in modo di non essere incriminato porta annualmente alle casse dello Stato più di 500 milioni ed è una formula utilizzata da molti contribuenti che vogliono regolarizzare la loro situazione fiscale.
Le reazioni da parte della politica sono state contrastanti. Il premier Pedro Sánchez ha rassicurato in diretta televisiva i monarchici: “Il governo spagnolo difenderà sempre il patto costituzionale del 1978. Bisogna rispettare la monarchia parlamentare. La monarchia non è in pericolo”. Diversa la reazione del suo alleato Podemos, da sempre un partito repubblicano: “670mila euro evasi al fisco sono 51 anni di salario minimo. Si tratta solo di uno dei vari debiti. Per i 65 milioni di Corinna non ha pagato niente, per esempio. E sugli altri che ha e non sappiamo. È una vergogna internazionale!”, ha dichiarato il portavoce alla Camera, Pablo Echenique. Il leader della formazione Pablo Iglesias ha affermato più volte che “l’orizzonte della Spagna è repubblicano”.