Non è ancora chiaro quale strategia di sviluppo di nuove tecnologie e di trasporti sostenibili stia dietro all’annuncio del progetto di Ferrovie Nord (Fnm) e Trenord sulla linea Brescia-Iseo-Edolo, per una mobilità ferroviaria a idrogeno il cui primo step costerà 160 milioni di euro per l’acquisto di sei treni.
L’annuncio non sembra essere in sintonia con la consultazione pubblica sulle Linee guida per la Strategia nazionale sull’idrogeno, lanciata il mese scorso dal ministero dello Sviluppo Economico. Esse mirano a individuare i settori in cui si ritiene che questo vettore energetico possa diventare competitivo in tempi brevi, ma anche a verificare le aree d’intervento più conformi a sviluppare e implementare l’utilizzo dell’idrogeno. Durante un rapido periodo di consultazione pubblica, dal 24 novembre al 21 dicembre 2020, i soggetti interessati e gli stakeholders (quindi anche Fnm o il gruppo Fs) potranno inviare osservazioni o presentare proposte in merito alle Linee guida preliminari della Strategia, scrivendo al Mise.
Il ministero ha precisato che l’Italia è “tra i primi Paesi che credono nell’idrogeno come vettore energetico pulito del futuro, in grado di accelerare il processo di decarbonizzazione verso un modello di sviluppo ecosostenibile”. Ciò ha permesso ai ricercatori e alle aziende italiane di acquisire un vantaggio in termini di capacità e conoscenze sull’idrogeno, che oggi consente al nostro Paese di avere un ruolo centrale nella definizione dei piani europei di investimento previsti per lo sviluppo e l’implementazione della produzione e utilizzo dell’idrogeno.
La decisione di Fnm di acquistare treni all’idrogeno, già pronti, dai francesi di Alstom lascia in verità pochi spazi alla ricerca e alla tecnologia italiana, anche se il progetto dell’azienda di trasporto lombarda è solo alla fattibilità preliminare degli impianti di produzione dell’idrogeno necessari per attivare il servizio ferroviario. Il primo impianto di produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno sarà realizzato da Fnm a Iseo tra il 2021 e il 2023.
Il piano di fattibilità è ancora in corso e prevede l’utilizzo iniziale di metano/biometano, trattenendo e stoccando la CO2 prodotta, per la produzione di “idrogeno blu”. Ci si aspettava una presentazione del progetto che valutasse anche tecnologie alternative, come l’elettrificazione, che invece non è arrivata. Con 50 milioni di euro si sarebbe potuto elettrificare la linea e, con altri 60 milioni, comprare dieci treni elettrici anch’essi non inquinanti, meno pesanti, più versatili e con consumi di energia nettamente inferiori.
Almeno per le manutenzioni e i costi energetici, un confronto su un periodo esteso di tempo sembrava davvero indispensabile. I costi ambientali di questi nuovi impianti devono essere quantificati in base ai più recenti parametri europei di monetizzazione. Eventuali differenze nell’esercizio, che dessero luogo a numeri diversi di treni scorta necessari (a causa della frequenza delle manutenzioni), dovrebbero essere tenute in conto. A mancare, infine, è un piano d’esercizio (che indichi orari e frequenze) capace, con i nuovi treni, di togliere la linea dall’ultima posizione tra le linee ferroviarie lombarde per numero di passeggeri trasportati.
L’obiettivo di Fnm è sostituire i 14 treni diesel, che attualmente operano sulla tratta, con altrettanti a idrogeno, e poi di realizzare degli impianti di produzione del gas in modo da avvicinare la produzione e l’utilizzo. Al momento è in corso la procedura di acquisto di sei elettrotreni alimentati a idrogeno, con l’opzione per la fornitura di altri otto. I primi convogli saranno consegnati entro il 2023. Nessuna tecnologia ferroviaria italiana verrà utilizzata: si spera che almeno la produzione avvenga nello stabilimento italiano di Alstom a Savigliano.
Si tratta di una vecchia commessa per la fornitura di treni elettrici che in corso d’opera (quindi senza gara e con il rischio di ricorsi da parte di altre aziende) è stata modificata ed estesa anche a treni ad idrogeno. Tre anni fa 16 treni iLint, gli stessi ordinati da Fnm, sono stati venduti alle ferrovie tedesche per 81 milioni di euro (5 milioni a treno). Una bella differenza con i 160 milioni (11,4 a treno) pagati dall’azienda lombarda. Questo è un aspetto che dovrà essere chiarito.
Dovrà anche essere chiarito perché Fnm sostiene che la flotta dei treni diesel da sostituire sulla Brescia-Iseo-Edolo risale agli anni ’90. In realtà la flotta è composta da 7 Stadler del 2011 e 4 treni Aln-668 degli anni ’80, pertanto è stata quasi completamente rinnovata da meno di dieci anni. Non solo: nel 2014 furono acquistati da Regione Lombardia e Provincia di Brescia (sempre senza gara) due convogli Pesa, al prezzo di 4 milioni ciascuno, che l’Ad di Ferrovie Nord, Giuseppe Biesuz, defini “un vero e proprio ‘miracolo’ per lo sveltimento delle procedure di acquisto”. Peccato che solo due anni dopo finissero rottamati per i troppi guasti e gli alti costi manutentivi.
Dopo aver speso circa 40 milioni per rinnovare quasi completamente la flotta diesel della Brescia-Iseo-Edolo, ora si passa all’acquisto dei treni ad idrogeno, su una linea dove l’energia idroelettrica (e quindi rinnovabile) abbonda e potrebbe essere utilizzata al posto di mettere in funzione una dispendiosa reazione corrente elettrica-idrogeno-corrente elettrica. Cosa serve, poi, un treno che raggiunge i 140 km/h su una linea dove per metà percorso si viaggia a 50 km/h, per un terzo a 70 km/h e per un altro terzo a 90 km/h? Un treno che porta fino a 300 viaggiatori quando sono solo 6 su 52 le corse giornaliere quelle che viaggiano a pieno riempimento? Inoltre, i treni Stadler usati attualmente possono portare sei biciclette, poche per un territorio con forti ambizioni turistiche. Quelli Alstom ad idrogeno ne possono alloggiare ancor meno, solo quattro.
Il progetto, nato all’inizio del 2020, che prevedeva anche altre ipotesi tecniche (ad esempio i treni a batteria), in pochi mesi ha subito una accelerazione più ‘politica’ che tecnica. I 21 comitati pendolari lombardi si sono chiesti se i treni all’idrogeno possono davvero diventare la soluzione dei loro gravi problemi. Si sono chiesti se questo strappo dal sapore propagandistico ed elettorale non serva invece a far uscire dall’angolo la regione Lombardia con un colpo d’immagine.
Lo stato di abbandono del trasporto ferroviario che provoca quotidiani e pesanti disagi ai pendolari avrebbe bisogno di una nuova gestione organizzativa (trasporti e sanità fanno a gara per inefficienza) e di investimenti mirati. A mancare, soprattutto, è però un piano d’esercizio (che indichi orari, frequenze e preveda una velocizzazione della linea) capace, con i nuovi treni, di togliere la linea dall’ultima posizione tra le linee ferroviarie lombarde per numero di passeggeri trasportati.
La corsa al treno pulito va bene, ma la strada non deve essere la più costosa e la meno efficiente. Diversamente l’impressione e quella di una mera operazione di greenwashing, cioè di un ecologismo di facciata, come la strategia di comunicazione di certe imprese, amministrazioni pubbliche o istituzioni politiche, per costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale.