Quando, nell’ormai lontano 2005, Peter May consegnò il suo primo manoscritto agli editori britannici, quelli gli risero in faccia. La storia di un mondo sotto l’assedio di un nemico invisibile, il virus dell’aviaria, con un tasso di mortalità dell’80%, e la città di Londra, epicentro del contagio, devastata dalle conseguenze sociali ed economiche dell’epidemia; sembrava a loro, all’epoca, troppo irrealistica e inverosimile per essere pubblicata. Oggi, nel 2020, quello scenario apocalittico immaginato da May è diventato realtà e il suo libro, dal sapore profetico, è diventato improvvisamente attuale e ha potuto finalmente uscire da quel cassetto in cui era stato relegato per tutto questo tempo. Lockdown (Einaudi), questo il titolo terribilmente familiare del volume, è diventato ora un fenomeno letterario mondiale, tradotto in quattordici paesi e con oltre 50mila copie vendute a poche settimane dalla sua uscita. “Le somiglianze tra quanto stiamo vivendo e ‘Lockdown‘ sono terrificanti”, dice Peter May nella sua premessa alla storia. Come dargli torto. “I direttori editoriali britannici pensavano allora come una pandemia globale non fosse realistica e non avesse alcuna possibilità di realizzarsi, sebbene tutte le mie ricerche dimostrassero che invece sì, quella possibilità esisteva eccome”. E infatti, eccoci qui, a leggere di una Londra in isolamento totale, con i negozi saccheggiati dalla guerriglia urbana scatenata dalla crisi economica indotta dal virus e l’esercito a presidiare che nessuno esca di casa senza autorizzazione. Non esiste una cura certa e il vaccino approntato in fretta e furia si è rivelato un fallimento. Il Parlamento ha dichiarato l’emergenza nazionale, anche il Primo Ministro è stato contagiato ed è tra le vittime del virus (vi dice niente tutto questo?). In questo contesto oggi iperrealistico, si muove Jack MacNeil, detective scozzese a cui il virus ha strappato il suo unico figlio, all’età di nove anni. Jack era pronto a lasciare il lavoro per stare con lui e invece niente, il destino si è messo di traverso. Così, non può fare altro che buttarsi a capofitto nel lavoro: nel cantiere di un nuovo ospedale viene ritrovato un borsone contenente le ossa di una bambina di origini cinesi e il caso viene affidato a lui. Ma MacNeil scoprirà ben presto che non è l’unico ad essere “interessato” a quelle ossa che nascondono un crimine atroce. Scatta così una corsa contro il tempo tra il detective (aiutato dalla compagna Amy) e un misterioso sicario. L’epilogo rivela una verità sconcertate (questa sì, speriamo sia solo frutto della fantasia dell’autore). Avvincente, emozionante, appassionante. Bello, bellissimo. Si finisce tutto d’un fiato. La scrittura è fluida e dettagliata. Il ritmo è serrato, non c’è tempo da perdere in chiacchiere. Ogni personaggio ha un suo spessore e una sua caratterizzazione. I flashback sono la regola, ma l’autore ha il dono della sintesi e riesce a non interrompere mai bruscamente il flusso della storia. È un thriller pensato come fantasy, ma a leggerlo oggi sembra quasi una lunga pagina di giornale veramente da brividi. L’unica “consolazione”, come chiosa May, è che leggendo questo libro tutti noi ci rendiamo conto che le cose potrebbero andare “molto, molto peggio”. Voto (con i complimenti per la profezia azzeccata): 9.