Il sacerdote dello scandalo, dei volantini firmati da un fantomatico Fra.Tino e della ribellione contro il Patriarca di Venezia è stato ridotto allo stato laicale da papa Francesco. Un provvedimento di eccezionale gravità ha colpito don Massimiliano D’Antiga, che si era rifiutato di accettare il trasferimento dalla chiesa di San Zulian e dalla parrocchia di San Salvador. A suo sostegno si erano schierate alcune decine di fedeli, che avevano manifestato sotto le finestre di monsignor Francesco Moraglia. Ma il caso era diventato ancor più clamoroso quando un fantomatico “corvo” aveva tappezzato Venezia con volantini che accusavano il clero di condotte lascive, perfino di pedofilia, e il Patriarca di aver chiuso un occhio sulle denunce. In realtà si trattava di accuse false, per le quali dovrà rispondere in Tribunale un amico di don D’Antiga, Enrico Di Giorgi, 75 anni, milanese, ex dirigente della Montedison di Marghera. Quando i carabinieri si recarono a perquisire la sua abitazione veneziana, alla ricerca di copie dei volantini, lo trovarono in compagnia di don D’Antiga, al quale però non ci sono contestazioni in merito ai volantini.
La posizione del sacerdote è stata al centro di una complessa indagine ecclesiastica che ne ha ricostruito attività pastorali ed economiche, passando ai raggi X le proprietà immobiliari che ha acquisito negli ultimi anni, frutto in qualche caso di lasciti testamentari. L’annuncio dell’epilogo è stato dato “con vero dispiacere e grande dolore” da monsignor Moraglia, il quale spiega che il rifiuto nel 2018 ad accettare il trasferimento nella Basilica di San Marco è stato solo il punto d’inizio di un’inchiesta che ha accertato altre “reiterate e gravi violazioni della legge canonica nei confronti della comunione ecclesiale”. Le manifestazioni e le prese di posizione inviate anche alla Santa Sede dai suoi sostenitori “confusi e turbati” hanno provocato divisioni all’interno della comunità.
Il Patriarca aveva inviato il sacerdote a trascorrere tre mesi di riflessione. Poi gli aveva consegnato “due precetti cautelativi, connessi alla materia economica, per indirizzarlo a uno stile sacerdotalmente appropriato”. Si riferivano a supposti interessi legati a donazioni di immobili e disponibilità di denaro. Durante alcuni incontri con il Patriarca il prete si era fatto assistere da Di Giorgi, “la persona imputata per aver affisso manifesti diffamatori firmati Fra Tino”, ricorda ora la Curia. Era poi cominciata una prima istruttoria, con un giudice non veneziano che ha ascoltato 24 testimoni. Poi la Santa Sede aveva aperto un procedura penale extragiudiziale, “strumento previsto dall’ordinamento della Chiesa per acclarare in maniera accurata la verità, tutelando tutte le persone interessate”, con un secondo giudice istruttore, un docente universitario di diritto penale canonico. Interrogati 36 testimoni, oltre a don D’Antiga, assistito da un avvocato. Infine, il fascicolo è stato esaminato in Vaticano dalla Congregazione per il Clero. Al termine il sacerdote è stato ritenuto responsabile di “istigazione alla rivalità, all’odio e alla disobbedienza”, di “lesione illegittima della buona fama”, di “abuso della potestà ecclesiastica” e di inosservanza del “dovere di conservare sempre la comunione con la Chiesa”. Non è tutto, c’è anche il mancato rispetto del “dovere dei chierici di condurre una vita semplice e del distacco dai beni” e “dell’obbligo di astenersi da ciò che è sconveniente e alieno dallo stato clericale”, con la “speciale gravità” implicata dalla “necessità di prevenire o riparare gli scandali”. La decisione finale è stata presa dal Papa, che ha stabilito “la pena della dimissione dallo stato clericale, con decisione suprema e inappellabile”.
La notizia è stata accolta con severa soddisfazione da Alessandro Tamborini, docente di scienze religiose, veneziano e grande accusatore di don D’Antiga, nonché parte offesa in alcuni procedimenti penali che ruotano attorno a queste vicende. “Da cinque anni mi occupo delle attività anche economiche di D’Antiga. Per primo ne chiesi alla Santa Sede il trasferimento e la riduzione allo stato laicale. Ora si può dire che avevo ragione, anche se il provvedimento arriva dopo che per anni a Venezia non si era mai risposto alle mie denunce. Tutti questi scandali potevano essere evitati se Moraglia mi avesse ascoltato. Ora interverrò per denunciare l’inaudito impero immobiliare di oltre 18 case, terreni ville, appartamenti costruito dal D’antiga e dai parenti grazie anche ad offerte ed eredità, tra cui un lasciato da 1 milione 400mila euro di una signora svizzera senza altri eredi, di cui si trova traccia nei fascicoli giudiziari”.