Quella di Nemonte Nemquimo è una storia di lotta e resistenza. Fin da piccola è stata incoraggiata a diventare una leader, seguendo l’esempio del nonno e dei genitori nel battersi contro gli intrusi che volevano invadere il territorio della loro gente e ha imparato quanto fosse rumoroso e dannoso per l’ambiente e le persone un pozzo di petrolio. Qualche anno dopo, nel 2015, ha fondato l’organizzazione no profit Alleanza Ceibo per proteggere le terre degli indigeni dell’Amazzonia dell’Ecuador dallo sfruttamento delle risorse, e nel 2018 è stata eletta presidente, prima donna in questo ruolo, della Conconawep, l’organizzazione Waorani della provincia di Pastaza. Il 30 novembre scorso ha ricevuto il Goldman Environmental Prize per il Sud America, considerato il premio Nobel per l’ambiente, ed è stata nominata nelle scorse settimane dalla Bbc tra le 100 donne del 2020, e dalla rivista Time tra le 100 persone più importanti del mondo.
Fiera e determinata, Nemonte, 33 anni, una figlia di 4 anni, è una delle leader della battaglia del popolo Waorani, che nel 2019 non solo ha lanciato la campagna digitale “La nostra foresta non è in vendita” con una petizione firmata da 378mila persone in tutto il mondo, ma è riuscita anche ad ottenere una storica vittoria in tribunale contro il governo che voleva dare oltre 180mila ettari in concessione ad aziende petrolifere, tra cui la Exxon e la Shell, con l’obbligo per il futuro di consultare e ottenere il libero consenso delle popolazioni indigene. Un risultato importantissimo per i diritti di queste popolazioni dell’Ecuador e di tutte le altre tribù che stanno seguendo il suo esempio per proteggere dallo sfruttamento indiscriminato quelle parti di foresta amazzonica che gli appartengono. Allo stesso tempo ha aiutato le comunità Waorani (in isolamento fino a 70 anni fa) a mantenersi indipendenti dai regali e offerte delle aziende petrolifere, installando dei sistemi di raccolta dell’acqua piovana, pannelli solari e supportando l’artigianato delle donne nella produzione di cacao organico e cioccolato. Ha inoltre fatto sì che i giovani imparassero a documentare il loro lavoro con video e immagini potenti per la loro campagna, usando anche i droni.
Abbiamo potuto farle qualche domanda nella conferenza stampa organizzata per parlare del premio appena conferitole, che, come hanno sottolineato le tre organizzazioni che guidano il popolo Waorani – Nacionalidad Waorani del Ecuador (NAWE), Asociación de Mujeres Waorani del Ecuador (AMWAE) e Conconawep – “è un riconoscimento al nostro lavoro collettivo di proteggere il nostro territorio. Non c’è lotta possibile senza il lavoro unito. Ognuno di noi è un guardiano e difensore della foresta”.
Quando hai deciso di lottare per il popolo Waorani?
L’ho deciso fin da bambina, perché i miei genitori sono nati nella selva. I nostri nonni e genitori ci hanno insegnato a proteggere il nostro territorio, perché i Waorani erano guerrieri e grazie a loro abbiamo molti ettari di foresta dove vivere. Ora sentiamo una minaccia dopo il contatto con l’uomo occidentale.
Cosa significa il Goldman Prize per te?
Per me è un riconoscimento alla lotta millenaria dei nostri nonni, di chi è morto e di chi è vivo, per noi che continuiamo a lottare per difendere il nostro territorio e ciò che amiamo. Insieme, con la mia gente, lottiamo per il rispetto dei nostri diritti all’autogoverno e autodeterminazione. Senza terra non c’è vita, la foresta è tutto per noi, il nostro mercato, la nostra farmacia, la nostra periferia, come per voi le città. Per millenni ci ha sostenuto, è la nostra casa ma ora sentiamo una minaccia grande, perché il governo e il capitalismo non ci rispettano, usano il nostro territorio solo per sporcarlo e saccheggiarlo. Questa lotta è per tutte le popolazioni indigene e per la vita, per tutte le persone del mondo, perché altrimenti non rimarrà niente da lasciare ai nostri figli.
Che cosa chiedete al governo?
L’unica cosa che vogliamo è che rispettino noi e i nostri diritti. Se ci consultano e diciamo no, devono accettarlo. Le decisioni che prendiamo nel nostro territorio sono nostre e vanno rispettate. Vogliamo continuare a lavorare dentro e fuori, creando una nostra forma di governo, ci stiamo rafforzando tra nazionalità unendoci.
Com’è la situazione dell’epidemia di Covid tra i Waorani?
Da marzo a luglio siamo stati abbastanza colpiti. Le donne hanno curato le famiglie, abbiamo usato le piante della foresta per farlo, è stato un lavoro molto duro. (Secondo i dati raccolti dal Confeniae-Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana, i casi di Covid confermati finora sono stati 3240, 2229 i guariti e 50 i morti, cui vanno aggiunti altri 663 casi sospetti e 54 morti con sintomi compatibili con il coronavirus. I Waorani di Pastaza, dove vive Nemonte, hanno avuto 103 casi confermati e nessun morto).
Come sono ora i rapporti con il governo dell’Ecuador circa le vostre battaglie?
Lo Stato ha aperto qualche porta per farci partecipare, ma resta ancora molto da fare. Abbiamo ottenuto due vittorie in tribunale, una contro l’estrazione di petrolio e l’altra a maggio per chiedere misure per proteggerci dal coronavirus. Abbiamo vinto su entrambi i fronti, ma non stanno rispettando le sentenze. Noi continueremo a reclamare finché lo Stato non si stancherà di ascoltare le nostre petizioni.
Quali sono le prossime sfide?
Senz’altro lavorare con la comunità per rafforzare la nostra leadership e farci rispettare davanti al governo e anche a livello internazionale, insieme alle altre popolazioni indigene. Voglio dare voce ai popoli indigeni. Il cambiamento climatico ci sta colpendo, insieme alla crisi economica. Tutti gli esseri umani sono collegati alla terra. Dopo questo premio non possiamo lottare solo come indigeni, ma dobbiamo farlo per tutto il pianeta, è per la vita delle future generazioni.
(foto di Amazon Frontlines)