A fine novembre volevano riaprire anche gli impianti sciistici e qualcuno proponeva “aree bianche” per un Natale con maggiori libertà. E nei primi giorni di dicembre c’era chi ha battagliato per avere ristoranti e bar aperti nei giorni più ‘caldi’ delle festività. Fino a domenica mattina strillavano per il divieto di spostamento tra Comuni a Natale, Santo Stefano e Capodanno. In buona parte sono stati accontentati. Poi è arrivata la tempesta perfetta: il ritorno di molte Regioni area gialla e la corsa allo shopping per i regali, con contestuale possibilità di sorseggiare un drink ai tavolini dei locali o pranzare fuori. Ed è scattata la precipitosa marcia indietro, nelle stesse ore in cui la Germania dava il “modello” con la decisione di Angela Merkel – condivisa rapidamente con i primi ministri dei Länder – di riportare il Paese in lockdown totale da mercoledì fino al 10 gennaio. Ecco quindi da un lato la spinta del governo per ritarare le misure restrittive, dall’altro i cahiers de doléances di ministri, governatori e sindaci. Così mentre sembrava sul punto di vacillare anche il divieto di mobilità intercomunale – con Palazzo Chigi che aveva lasciato filtrare un’apertura ma col bollino del Parlamento – le scene di assembramento, mezzi pubblici affollati e code nei negozi hanno fatto scattare l’allarme.

Le scene “immonde” di Zaia, ma il suo assessore voleva sci libero
“Ho visto uno spettacolo immondo: nonostante la crisi, il collasso della sanità, non si sono fermati i serpentoni ad Asiago, l’assalto alle città”, ha attaccato il presidente del Veneto Luca Zaia, dove pure ci sarebbero delle regole regionali per gestire i flussi nelle strada. “ll sindaco di Treviso ha dovuto transennare la città ieri pomeriggio – ha proseguito – Ai ‘varchi’ si sono contate 50mila persone quando nel centro vivono in 8.500 e 80mila in tutto il comune”. E ancora: “È un mondo vomitevole, è una cultura strisciante e non imperante secondo la quale questo è il virus dei vecchi e che se la vedano loro”, ha insistito. Chissà cosa sarebbe accaduto se il governo avesse accolto la richiesta che il suo assessore al Turismo aveva rivolto a Roma insieme ai colleghi delle Regioni del Nord: era il 23 novembre e tutti chiedevano di lasciar sciare gli appassionati. Mentre Zaia faceva il poliziotto cattivo (“Natale sugli sci è un’era glaciale diversa da questa”), Federico Caner chiedeva certezze sul via libera agli impianti, “consapevole” insieme agli altri assessori “dell’importanza che l’industria dello sci ricopre per l’economia italiana”.

Ristoranti e hotel, le battaglie di Italia Viva che ora dice sì a misure restrittive
Paradigmatica la posizione di Italia Viva. A inizio dicembre, i renziani avevano battuto i pugni in Consiglio dei ministri chiedendo e ottenendo l’apertura dei ristoranti per i pranzi di Natale e Santo Stefano. E forti erano state le pressioni anche sugli hotel di montagna, ai quali tra impianti sciistici chiusi e divieti di spostamento tra Regioni dal 20 dicembre al 6 gennaio resta ben poca clientela. Del resto, è dalla primavera che i renziani chiedono sempre un passo in più perché, lo aveva spiegato proprio Matteo Renzi al Senato il 30 aprile, “non possiamo delegare tutto alla comunità scientifica”. Eppure dopo la domenica di shopping natalizio e tavoli di bar e locali presi d’assalto, la ministra dell’Agricoltura è parsa assai più prudente, aprendo a “misure anche più restrittive” e, durante la riunione dei capidelegazione, ha riportato in auge gli scienziati ai quali non si doveva delegare, secondo il suo leader: “È essenziale che il Comitato tecnico scientifico ci fornisca indicazioni di merito per assumere scelte politiche conseguenti”.

E anche Di Maio ha cambiato idea sui piccoli Comuni
Il cambio di approccio ha riguardato anche altri ministri. Il 10 dicembre Luigi Di Maio definiva “assurdo” il confinamento comunale imposto il 25-26 dicembre e a Capodanno. “Questo è un problema che va risolto e mi auguro che tutte le forze di maggioranza siano d’accordo nel trovare una soluzione”, spiegò. “Dove possibile permettiamo alle famiglie di stare insieme”, era stata la sua richiesta. Domenica sera, ospite di Non è la D’Urso su Canale 5 il ministro degli Esteri, annunciando che non trascorrerà le feste con i suoi genitori, ha corretto il tiro: “Capisco che vogliamo stare insieme ma a Natale si spostano 15 milioni di italiani, se permettiamo spostamenti portiamo a casa dei nonni e dei genitori il virus, necessariamente dobbiamo stare attenti”.

Per Gori prima “dipende da noi”, poi “facile prendersela coi cittadini”
Di fronte a Bergamo alta presa d’assalto, con migliaia di persone sulle Mura e sulla Corsarola, la strada principale del borgo storico, il sindaco Giorgio Gori punta il dito contro il governo: “I cittadini fanno quello che è consentito loro di fare. Se negozi, bar e ristoranti sono aperti, perché non dovrebbero uscire, andare a fare shopping (in più c’è il cashback), pranzare fuori o prendersi un caffè? Cosa ci si aspettava? Troppo facile prendersela con loro”. Il 9 dicembre però si era rivolto proprio a loro, invitandoli alla prudenza: “Dipenderà di nuovo da noi evitare che il Natale possa provocare una nuova impennata dei contagi”. A minori limitazioni, sottolineava, “deve corrispondere maggiore responsabilità da parte dei cittadini”. Le regole di distanziamento restano in vigore e il sottosegretario all’Interno Achille Variati, già sindaco di Vicenza per 15 anni, era stato chiaro al Ilfatto.it: “Sindaci e Regioni possono intervenire per gestire la folla dello shopping”.

Zampa: “Regole chiare, stop a Stato-mamma”
Lo ha ricordato anche la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa: “Credo che occorrano più controlli sulle regole, usando anche i vigili che controllino le strade dello shopping”, ha detto a Rainews 24. “È come se una mamma dicesse al figlio – ha spiegato – che può mangiare la marmellata, il figlio ne mangia sei barattoli e la mamma gliela toglie. Penso che non dovremmo avere bisogno di uno Stato-mamma: le regole sono chiare e i sindaci possono fare ordinanze più restrittive su orari e zone rosse o arancioni”. Quindi ha precisato: “Bisogna capire cosa non funziona nella comunicazione perché i cittadini non capiscono la gravità della situazione, ogni volta dobbiamo ricominciare”.

Le “aree bianche” di Toti e la “prigione” di Salvini
Chi continua a rivendicare la necessità di aprire il più possibile è il presidente della Liguria, Giovanni Toti. Dopo aver inondato i profili social di sue foto mentre mangiava acciughe e gnocchi al pesto nelle trattorie del centro storico di Genova, mentre la città era alle porte di uno dei momenti più drammatici con l’ospedale da campo fuori dall’ospedale San Martino per alleggerire il peso sul pronto soccorso, insiste con il basso profilo: “Trovo surreale l’idea di un nuovo lockdown per Natale, preannunciato dal governo quasi con piacere penitenziale. E trovo assurda la pretesa di dividere il Paese tra chi combatte il Covid-19 e chi guarda all’economia in crisi”. A fine novembre aveva proposto delle “aree bianche” con più libertà per il periodo natalizio e pochi giorni fa ha negato una relazione tra la ripartenza del contagio a settembre e l’estate, suggerendo piuttosto di “guardare alla riapertura delle grandi attività industriali, degli uffici, delle scuole, con i conseguenti affollamenti dei mezzi pubblici”. Le stesse preoccupazioni che Matteo Salvini, con il quale si trova parecchio in sintonia, dice di nutrire ora per gennaio. Nel frattempo, però, l’ex vice-premier dice “sì alla prudenza, ma no alla prigione”. Insomma, zero limitazioni da zona rossa, quella dalla quale ha tentato di fuggire prima del previsto l’Abruzzo di Marco Marsilio. L’ex senatore di Fratelli d’Italia ha bruciato i tempi della de-escalation, pensando proprio a tutti. Compresi i cacciatori, autorizzati, nonostante la zona arancione, a uscire dal proprio Comune per andare a caricare le doppiette nei boschi.

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