Nel mio ultimo post ho sostenuto il concetto di “Fair Working” (lavoro giusto, sostenibile) e la possibile riduzione dell’orario di lavoro a parità di produttività, sulla base di ricerche ed esperienze internazionali. Ho portato i dati su come otto ore di lavoro pieno e produttivo siano una illusione e che “lavorare meno, ma meglio” fa aumentare la produttività, il benessere, la fiducia, l’engagement, diminuire stress ed inquinamento.

Invito anche a leggere i numerosi commenti ai post, che testimoniano esperienze e umori significativi. Il valore della riduzione orario (ad es. 4 giorni a settimana, o 6 ore al giorno) a fronte di una maggiore efficienza e quasi o completa parità salariale, coinvolge inevitabilmente la “cultura manageriale”.

Lavorare meno mantenendo la produttività implica una migliore gestione manageriale, di quantificazione e priorità degli obiettivi, efficienza dei processi, e di gestione di sé al lavoro (concentrazione, energia, stress, resilienza), non certo facili, ma che se ben gestiti possono far crescere molto qualsiasi azienda ed organizzazione, e le persone al lavoro.

Le resistenze dei manager, sull’ipotesi di meno tempo a parità di salario, sono legate al rischio di “perdere” sugli obiettivi, sulla difficoltà di stabilire gli obiettivi in modo preciso, sull’illusione di avere una massima produttività (continuativa e senza burn out) per otto ore, sul possibile aumento del numero di lavoratori, sui rischi e sui tempi di trattative interne.

Timori più che comprensibili, ma questo è il tempo di azioni straordinarie, “working as usual” sarà impossibile. Il management appare troppo impantanato in modelli di controllo novecenteschi basati sulla disponibilità fisica e psichica dei lavoratori per più tempo possibile, e lo smart working iperconnesso rischia di peggiorare la situazione.

Ma anche da parte dei lavoratori c’è la paura speculare di non riuscire, o di fare entrare altre risorse fresche (più produttive), di essere valutati in modo più stringente, di dover uscire da una paradossale comfort zone.

In parte dei sindacati c’è ancora una tradizione di “timbro del cartellino” legata all’evitare possibili straordinari non pagati ma ormai superata dalla storia. Oltre alle ricerche citate nel post precedente, anche la letteratura specificamente manageriale è piena di conferme sulla possibilità di lavorare meno lavorando meglio.

Se ne fa portavoce il principale riferimento, l’Harvard Business Review, con diversi articoli e libri, tra cui segnalo ai lettori The Case for the 6-Hour Workday di Steve Glaveski (Hbr, December 11, 2018) e On Mental Thoughness (HBR 2018) sulla “resilienza” lavorativa e la gestione dello stress.

L’analisi del tempo lavorativo reale porta alla conclusione – evidente nel senso comune – che sul lavoro, come nella vita, siamo distratti sia da fonti esterne all’azienda (social, gaming), che da fonti interne all’azienda (superiori, colleghi, skype, gruppi whatsapp aziendali, quantità di mail).

Spesso immersi in una organizzazione degli obiettivi e delle priorità poco efficaci (scarsa attitudine al raggiungimento dei risultati), e nel multitasking. Il risultato è che alla fine entriamo raramente in quel ‘flusso di concentrazione’ (‘State of Flow’) che aumenta moltissimo la produttività ma rifugge come la peste il multitasking.

Distrazione da fonti esterne (Smartphone: Social, gaming, telefonate esterne…)

Lo studio Putting a Finger on Our Phone Obsession: mobile touches: a study on how humans use technology, ci mostra come in media tocchiamo lo smartphone 2617 volte al giorni con punta per alcuni di 5427: con un impiego di tempo compreso tra i 145 ed i 225 minuti, fortemente concentrati negli orari di lavoro, in particolare a causa di Facebook e Whatsapp.

Qui non è in ballo solo il tempo di lavoro perso, ma anche la qualità del lavoro dovuta ad una concentrazione incostante, e dello stress prodotto, che spesso non è “per il lavoro” ma per l’ecosistema complessivo e la cattiva gestione di sé da parte dello stesso lavoratore.

Distrazione da fonti interne all’azienda

Una ricerca di Adobe mostra che gli impiegati spendono una media di 6 ore al giorno sulle e-mail, controllandole 74 volte al giorno. Premesso che molti servizi di costumer care sono legati alle e-mail, tuttavia moltissime sono le mail “circolari”, con “tutti in copia”’, evitabili. Non necessario anche il controllo frequente (74 volte in media) quando si potrebbero controllare due-tre volte al giorno per periodi dedicati, possibilmente tenendole sul computer, non sullo smartphone.

Skype è un altro distrattore, laddove lasciato in modalità “disponibile” è una porta di entrata per tutti nel male e nel bene. Gli impiegati, concludono gli studi, sono in uno stato continuo di distrazione ed iper-responsività, stressati dal mutitasking multichannels. Da qui lo sviluppo di app, come Forrest (segnalatami come ottima difesa da mia figlia 20ennne…) che tramite gaming permettono di bloccare gli altri social e “costringere” alla concentrazione ma in modo accattivante.

Al di là dei rimedi fai da te come Forrest, una sana cultura manageriale, di comune accordo, dovrebbe proteggere l’ambiente e le persone al lavoro da quella vera arma di “distrazione di massa” che sono i social, che dovrebbero essere sospesi durante i tempi di lavoro.

Il flusso di concentrazione:

Il flusso di concentrazione (“State of Flow”) è un concetto portato alla ribalta dallo psicologo sociale Mihaly Csikszentmihalyi che deriva dalla limitazione delle distrazioni, aumenta drammaticamente la produttività. Anche quella dei manager. Una ricerca longitudinale di 10 anni Increasing the meaning quotient of work di Mc Kinsey mostra come il rendimento degli executive aumenti del 500% quando “concentrati”.

Nel prossimo post esaminerò più nel dettaglio alcune strategie di lavoro efficace, affrontando anche il tema della resistenza di lavoratori e sindacati. Vi aspetto.

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