Politica

Milano, per far funzionare la città metropolitana servono amministratori eletti e un buon budget

Accogliendo con grande soddisfazione la decisione di Beppe Sala di ricandidarsi come sindaco di Milano, credo che sia il momento di riaprire la discussione sulla Città Metropolitana, nella quale il ruolo di sindaco tocca – in via automatica – al primo cittadino del capoluogo.

Mi pare onesto riconoscere che così le cose non funzionano e non certo per demerito di Sala: anzi, grazie alla stima della quale gode anche al di fuori del campo del centrosinistra, è proprio lui la figura più indicata per mettere mano a ciò che non funziona, attraverso un proficuo dialogo anche con i Comuni amministrati del centrodestra.

E’ inutile girarci attorno: i risultati della riforma-Delrio non sono certo quelli attesi. Oggi la Città Metropolitana sta in piedi grazie al lodevole sforzo di quei rappresentanti politici che si assumono un ulteriore fardello, con relative responsabilità, che si somma ai doveri della propria carica elettiva e senza nemmeno un euro aggiuntivo a riconoscimento del proprio lavoro. Benché si viva in tempi di permanente antipolitica, mi permetto di invitare alla riflessione: sono queste le premesse giuste per pretendere un’amministrazione non solo onesta, ma anche efficiente?

Eppure, i temi dei quali la Città Metropolitana dovrebbe occuparsi sono determinanti per il nostro futuro. La rete extraurbana dei trasporti viene discussa da oltre trent’anni, con risultati insoddisfacenti. Ogni volta che si polemizza sull’atteggiamento di Milano nei confronti del traffico privato in automobile, ricordo un dato eloquente: quotidianamente la città è vissuta da oltre due milioni e mezzo di “city users”, circa il doppio dei residenti. Se non offriamo la possibilità di accedervi attraverso i mezzi pubblici – cosa che oggi non è semplicissima – il problema del traffico veicolare non potrà mai essere risolto. Altrettanto rilevanti sono tutti i temi relativi alla transizione ambientale, compresa la raccolta dei rifiuti, la pianificazione e la gestione del territorio (pensiamo ad esempio ai parchi a cavallo tra più comuni) nonché delle reti idriche, questioni che in una delle aree più inquinate d’Europa dovrebbero essere in cima all’agenda di qualunque parte politica. Milano è un sistema aperto, estremamente dinamico: una rete di rapporti e trasporti che non può essere compresa appieno, se non nella contemporanea relazione con il territorio che la circonda e con l’Europa. E il mondo.

Tuttavia, appare arduo immaginare una svolta, almeno fino a quando la Città Metropolitana sarà un secondo lavoro per amministratori già oberati: se è facile capire che il sindaco di Milano non ha tempo per occuparsi di altro, allo stesso modo un consigliere comunale difficilmente può gestire proficuamente anche una delega metropolitana (ricoprendo ipso facto il ruolo di assessore), soprattutto se ha anche un’occupazione professionale. L’elezione diretta dei rappresentanti metropolitani sarebbe una soluzione, ma solo se accompagnata allo stanziamento di budget idonei al funzionamento dell’ente.

Tuttavia, anche nel felice caso di realizzazione di questa ipotesi, rimarrebbe un ulteriore ostacolo. E di dimensioni enormi. Le Città Metropolitane e le Province si collocano a metà strada tra le singole amministrazioni comunali e quella regionale, con evidenti difficoltà nell’armonizzare i ruoli in maniera sinergica.

Dando per scontato che il Comune di Milano per ragioni storico-culturali non potrà mai essere sciolto (come invece taluni ipotizzavano), è il conflitto di potere con la Regione Lombardia a tarpare le ali a qualunque ambizione evolutiva. Ma questo, nel nostro caso specifico, è un capitolo ben più ampio, non solo per via del Covid-19. Sono convinto che finora se ne siano lette soltanto le prime pagine.