Il sedile in vinile gli succhiava il calore dalle cosce, e Dan era contento che Mona avesse la pelle di pecora sopra il suo. Nel bagliore verde del cruscotto il suo viso sembrava liscio come quello di un’adolescente, e Dan si chiese di nuovo quanti anni avesse.
Il lungo inverno di Dan Kaspersen, di Levi Henriksen (traduzione di Andrea Berardini; Iperborea) è una narrazione esistenziale incorniciata da paesaggi innevati e da una natura placida. Dan si trova alle prese con il suicidio del fratello minore, l’accusa di essere il colpevole di un pestaggio ai danni di un rispettabile benestante locale e la tentazione, fortissima, di andarsene dalla campagna norvegese. Solo la comparsa di Mona lo metterà alle strette, obbligandolo a fare i conti con il proprio passato e la propria filosofia di vita.
Ironico, attraversato da un immaginario musicale pop, crudo, fragile, definitivo, il percorso di Dan Kaspersen è tratteggiato con grande forza. Come nel precedente Norwegian Blues, Levi Henriksen riesce a dare voce a un individuo accessorio nello scorrere della Storia, trasformandolo in qualcosa di primario, poiché quelle di Dan sono le lecite e nascoste elucubrazioni di molti di noi.
Volevo soltanto sposare Parastù, perché volevo stare con lei e basta. Stare con lei mi dava una serenità indescrivibile, che non avrei scambiato con nessuna altra cosa al mondo (…) in ogni caso, Parastù faceva un altro ragionamento. Era convinta che il mio unico capitale per una vita matrimoniale fosse l’amore e non lo considerava sufficiente.
Sull’amore e altre cose, di Mostafa Mastur (traduzione e postfazione di Faezeh Mardani; Francesco Brioschi Editore), racconta la storia di Hany, laureato che, dopo aver scelto di rimanere a Teheran invece che tornare a casa, ad Ahvaz, deve vedersela con le innumerevoli difficoltà di una sopravvivenza tra le strade della metropoli iraniana. Una quotidianità scalcagnata, fatta di lezioni di fisica e la convivenza in una cantina, che si rivelerà letale, con altri due ragazzi, uno dei quali coinvolto in attività illecite. Ma soprattutto un’esistenza intrisa dell’amore per l’inaccessibile Parastù, un’ossessione in carne e ossa che porterà Hany a bizzarre riflessioni esistenziali e a decisioni determinanti. Emblematico, cupo, ironico: Sull’amore e altre cose è un ottimo esempio delle grandi potenzialità della narrativa iraniana contemporanea.
Tanto per cominciare, sono davvero negato con gli animali, e doverli nutrire ogni giorno mi sembrava una vera seccatura. Cani, conigli, gatti, tutti quanti quegli esseri che generalmente la gente trova teneri e carini mi erano odiosi tanto alla vista quanto al tatto (…) Le mie sneakers nuove fiammanti sono state gettate proprio in quella gabbia di conigli. È successo il giorno dopo la storia del preservativo ritrovato sotto al banco di Niijima Ami.
Doll, di Yamashita Hiroka (traduzione e postfazione di Valentina Franchi; Atmosphere Libri) è una storia realistica in cui viene dato ampio risalto alle emozioni del protagonista, un inquieto adolescente giapponese che prova una forte attrazione sessuale per le bambole invece che per le donne in carne e ossa. Bullizzato, poco propenso a reagire, Yoshizawa è un ragazzo senza punti fermi, che si trascina verso una deriva che, a tratti, ricorda quella di Meursault, il protagonista de Lo straniero, di Albert Camus. L’assenza di relazioni con altri esseri umani porta Yoshizawa verso l’alienazione e l’instabilità violenta.
‘Aziz è steso a terra, immobile. Gli occhi chiusi. Non saprei dire con certezza se è morto o ancora vivo. Potrebbe essere caduto dal pianale, prima di morire. Mi avvicino. Nessun segno di vita. La mano e il piede sono legati con una corda. Gli umani hanno certe abitudini che proprio non capisco.
Ogni volta che prendo il volo, di Youssef Fadel (traduzione di Cristina Dozio; postfazione di Elisabetta Bartuli; Francesco Brioschi Editore) è la rivisitazione romanzata degli anni più cupi della recente storia marocchina, quelli seguenti all’attentato al Re Hassan II nel 1972. ‘Aziz, uno dei partecipanti al fatto di sangue, viene rinchiuso per molti anni nelle antiche cucine di un palazzo nel sud del Paese, convertito durante gli “anni di piombo” marocchini in un luogo di detenzione e tortura gestito nell’illegalità e nella completa impunità.
Sviluppato a più voci, a mosaico, Ogni volta che prendo il volo è un romanzo coraggioso, scritto in modo limpido, che ci trasmette le devastanti lacerazioni di chi ha osato andare contro il potere, e ne ha pagato le conseguenze.