“Nel 2009, mancarono delle verifiche approfondite sulle fasi dell’arresto e sul tentativo del fotosegnalamento”. È il duro affondo che il generale dell’Arma Tullio Del Sette fa ai carabinieri che nel 2009 condussero le indagini sulla morte di Stefano Cucchi, causata dalle violenti percosse subite in caserma dopo l’arresto. Il generale è stato chiamato a testimoniare al processo Cucchi Ter, sul presunto depistaggio per il quale sono imputati 8 carabinieri: secondo l’accusa, avrebbero coperto prima nel 2009 e poi nel 2015 i tentativi della magistratura di risalire ai reali colpevoli del pestaggio.
All’epoca dei fatti Del Sette era a capo dell’ufficio legislativo del Ministero della Difesa, e solo nel gennaio 2015 diventerà comandante generale de ‘La Benemerita’. Il suo insediamento avviene in un momento storico per il caso Cucchi. Nell’ottobre 2014, la Corte d’Appello di Roma assolve i medici e gli agenti della penitenziaria, e invita i magistrati “a svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse”. Appena un anno dopo, il sostituto procuratore Giovanni Musarò chiede l’incidente probatorio per i carabinieri Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati del pestaggio, il maresciallo Roberto Mandorlini e l’appuntato Vincenzo Nicolardi che rispondono di falsa testimonianza.
A quel punto, il generale Del Sette decide di fare qualcosa. “Dopo la richiesta dell’incidente probatorio, e in virtù degli articoli di stampa, chiesi che venissero fatti degli accertamenti, per chiarire alcune cose sulla vicenda Cucchi. Al termine del quale scrissi un comunicato stampa”, spiega in aula. Il motivo? “Si dice che il tempo è galantuomo, ma in vicende come queste, il tempo rischia di fiaccare le motivazioni degli uomini – aggiunge Del Sette -, per questo ho agito in prima persona. Era dovere istituzionale dell’Arma capire come fossero andate le cose. Volevo che i carabinieri riferissero alle autorità”.
Le verifiche fatte dall’allora generale Vincenzo Giuliani, braccio destro di Del Sette, evidenziarono alcuni lati oscuri nelle indagini del 2009. “Mancavano le verifiche approfondite sulle fasi dell’arresto. È emerso che Cucchi venne trasferito alla Compagnia Casilina – spiega Del Sette -, ma pur essendo stato citato negli atti, il fotosegnalamento non era stato fatto. Sarebbe stato necessario capire perché il fotosegnalamento non era stato fatto. Inoltre, tutti i militari che avevano avuto a che fare con il detenuto Cucchi avevano scritto le lo ro annotazioni, tranne i due militari che lo avevano arrestato (D’Alessandro e Di Bernardo, ndr)”.
Nel comunicato stampa del 2015, il generale riferisce che “è grave il fatto che alcuni Carabinieri abbiano potuto perdere il controllo e picchiare una persona arrestata”, “che non l’abbiano poi riferito, che alcuni altri abbiano potuto sapere e non lo abbiano segnalato a chi doveva fare e risulta aver fatto le dovute verifiche”. Inoltre, era “grave il fatto che queste cose possano emergere soltanto a partire da oltre sei anni dopo, nonostante un processo penale celebrato in tutti i suoi gradi”.
Un messaggio forte e chiaro, che il generale sperava passasse a più livelli, come spiega in aula: “Il comunicato era diretto all’esterno e all’interno dell’Arma, perché è chiaro che qualsiasi carabiniere deve adempiere ai propri doveri. Però era necessario che tutti avessero contezza di quale fosse la posizione dell’Arma e del suo comandante nella vicenda Cucchi. Ma anche all’esterno, perché l’opinione pubblica e la famiglia Cucchi sapesse cosa pensavamo. Inoltre, era diretto alla magistratura, perché capisse che le indagini potevano essere svolte dai carabinieri”.
In udienza, al generale viene anche chiesto se durante l’avvicendamento con il suo predecessore, il generale Leonardo Gallitelli (2015), e con il suo successore, generale Giovanni Nistri (2018), avesse mai condiviso informazioni del caso Cucchi. “Non ho mai parlato con il generale Gallitelli di questa storia. Ma non credo che Gallitelli potesse sapere. All’epoca cosa si sapeva? Dov’era arrivata la verità? Era arrivata in basso – dice Del Sette, che poi aggiunge. – Durante il passaggio di consegne con Nistri non ne parlammo, perché non erano emersi nuovi elementi all’epoca”.