In un periodo come questo nel quale molti imprenditori versano in gravi difficoltà finanziarie è naturale che le organizzazioni mafiose più evolute – che non hanno mai problemi di liquidità – possano avvantaggiarsi.
È di qualche giorno fa l’allarme lanciato dal Cerved, una delle principali agenzie italiane di informazioni commerciali, per cui sarebbero un migliaio le imprese siciliane della ristorazione che rischiano di diventare bersaglio delle organizzazioni criminali dopo aver visto precipitare i ricavi e aumentare i debiti a causa della pandemia.
Del resto Cosa nostra ha sempre investito in questo settore, dove risulta più facile riciclare le enormi disponibilità di denaro sporco accumulato con i traffici illeciti. Oggi i mafiosi si presentano dai ristoratori per offrire rapide soluzioni alla crisi aziendale.
Ebbene è chiaro che tutti i comparti produttivi corrono adesso lo stesso pericolo, non solo quello della ristorazione. Si potrebbe verificare, al Sud come nelle regioni settentrionali, un deleterio fenomeno di diffusa sostituzione di imprenditori sani con uomini dei clan.
Proprio di questo si è parlato il 5 dicembre scorso in un webinar organizzato dal sindacato Sibas-Finanzieri con l’avvocato Massimo Melpignano – consulente e ospite fisso della trasmissione Rai Mi manda Rai Tre – che si occupa da trent’anni dei problemi legati all’indebitamento.
Dall’incontro è emersa in primo luogo l’assenza di una pianificazione strategica e di misure strutturali indirizzate a consentire la sopravvivenza economica: i vari “ristori” emergenziali varati dall’esecutivo non appaiono certo sufficienti.
Si è poi posto l’accento sui danni che potranno essere provocati dalle nuove severe regole sulla classificazione dei debitori, che entreranno in vigore a gennaio e che condanneranno le imprese al girone dei “cattivi pagatori” pure per importi minimi.
Ma anche il meccanismo dei finanziamenti con garanzia statale, secondo Melpignano, rischia di peggiorare la condizione di imprenditori già indebitati fino al collo: poiché è probabile che molti di essi non riusciranno a rimborsarli, andrebbe seriamente considerata la possibilità di una cancellazione (anche parziale) di questi debiti, per evitare appunto che finiscano col consegnarsi mani e piedi nelle grinfie degli usurai e della criminalità mafiosa.
Una delle principali caratteristiche dell’impresa mafiosa è la spiccata “spinta creativa”: il mafioso appare costantemente alla ricerca di nuove opportunità di arricchimento e di penetrazione nell’economia legale. La crisi attuale genera tante occasioni ghiotte proprio per mezzo dell’offerta di capitali a tassi usurari, un cavallo di Troia che consente l’ingresso del creditore nell’impresa insolvente.
Spesso gli attori dell’infiltrazione mafiosa sono insospettabili professionisti che conoscono a fondo la vulnerabilità dell’impresa e si prodigano a favorire i contatti con il “benefattore”. I clan erogano in questo caso un servizio negato dalle banche, vuoi per manifesta inaffidabilità del richiedente vuoi per politiche eccessivamente restrittive.
Il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho lo aveva già previsto la scorsa primavera: “Credo – aveva detto – che sia necessario snellire tutte le procedure verso l’accesso al credito. Le mafie non hanno burocrazia, dobbiamo fare in fretta. Il sostegno alle imprese non è prorogabile, il rischio usura è enorme”. Speriamo che queste parole non restino inascoltate.