Venti ore “sequestrata” nella camera da letto di Alberto Genovese, stordita dalla droga dello stupro. Poi il risveglio “con le manette”. In un’intervista a Il Corriere della Sera, la diciottenne che per prima ha denunciato la violenza subita dall’imprenditore torna a parlare di quanto accaduto il 10 ottobre scorso nella lussuosa abitazione di Genovese, ora in carcere con l’accusa di averla stordita con un mix di droghe e di averla violentata.
“La prima volta a giugno, invitata da un mio caro amico di 23 anni, a sua volta amico della fidanzata di Genovese. Siamo andati in cinque amici”, racconta la ragazza. L’ultima volta è stata la sera della violenza: “Io e una mia amica siamo arrivate alle 20,30. Eravamo indecise se andare o no perché nessuno dei nostri amici sapeva che c’era la festa e non eravamo amiche né del signor Genovese né del signor Leali. Poi sul tardi Leali scrive alla mia amica di venire ché là era figo e, visto che c’era un’altra festa alle 23, abbiamo deciso di passare. Non ho ricordi precisi. La mia amica mi ha detto che avevamo deciso di andarcene anche perché lui aveva cominciato ad essere molto molesto nei nostri confronti, ci seguiva. Era come se ci stesse puntando. Infatti, ci siamo dette: ‘Stiamo sempre insieme, non ci separiamo mai'”, prosegue.
Poi successe qualcosa, era stata drogata e della camera dove c’è stata la violenza dice: “Non so come ci sono entrata. Ero sveglia, ma completamente andata. Non ricordo niente”. La memoria della giovane riparte ore dopo: “Da quando mi sono svegliata sul letto. Credevo di aver avuto un incubo. Ricordo di avergli detto: ‘Ma dove siamo andati ieri sera?’. Solo dopo l’arresto ho saputo quello che era accaduto. Ho solo alcuni flash di quello che è accaduto. Avevo la sensazione che fosse successo qualcosa, ma era tutto talmente assurdo che ho pensato che fosse impossibile. Poi hanno cominciato a sovrapporsi i ricordi, i dolori, le manette, lui che si comportava in modo violento e voleva ancora costringermi ad assumere droga. ‘Pippa’, diceva. Ho capito che ero in pericolo di morte e ho mandato messaggi alla mia amica con il telefonino”.
“Lui era sempre intorno a me, avevo paura della sua reazione – prosegue la giovane -. Non sapevo cosa fare, ho pensato: ‘Aspetto un attimo, capisco in che situazione mi trovo, magari mi sto solo facendo delle paranoie’. Dopo un po’ ho capito che davvero ero in pericolo, ma mi sentivo più sicura chiamando la mia amica che è venuta immediatamente sotto casa. Ho detto: ‘O mi fai scendere o lei chiama qualcuno’. Appena sono arrivata in strada ho fermato una volante della polizia che passava e ho detto che c’era stata la violenza”. Tre giorni dopo, spiega, si fece vivo Daniele Leali, vocalist ritenuto il “braccio destro” dell’imprenditore: si qualificò come “portavoce” di Genovese.
“Queste cose – riflette poi la ragazza – possono essere più comuni di quanto pensiamo. Se potessi tornare indietro ci sono alcuni comportamenti che cambierei”. Alla feste nella cosiddetta terrazza Sentimento, spiega, “c’era gente che conoscevo nel mondo della moda e della musica, età dai 20 ai 30 anni. Un bell’ambiente che non mi appariva pericoloso”. E alla domanda se sarà in aula al processo risponde: “Non lo so. Vorrei solo guardarlo in faccia per vedere come mi guarda”.