Il 16 dicembre 1770 nasceva l'artista diventato un monumento della musica mondiale. Ecco alcuni aspetti della sua vita tormentata (eppure così eroica)
Una mano si leva al cielo, si stringe in un pugno, un ultimo gesto di gloria: poi, la fine. Così, riaprendo per un istante gli occhi dopo due giorni di coma, si spegneva il 26 marzo del 1827 l’ultimo monumento del classicismo viennese. L’artista più tormentato, il più eroico, il più categorico: Ludwig van Beethoven. Oggi, a 250 anni dalla nascita, avvenuta il 16 dicembre 1770, per omaggiare il genio di Bonn Brilliant Classics pubblica una nuova edizione della più celebre delle sue sinfonie, la Nona, una nuova versione frutto di un intenso lavoro di rilettura da parte dell’Orchestra Filarmonica della Calabria e del suo giovane direttore, il maestro Filippo Arlia: un’occasione per tornare a godere di una delle opere fondative della cultura musicale
Il rifiuto del padre
Che Johann van Beethoven, il padre di Ludwig, fosse un uomo mediocre non è certo un mistero: buono a nulla ed ubriacone, Johann, motivo di costante umiliazione per i suoi familiari, venne presto rimosso, psicologicamente parlando, dal giovane Ludwig, costretto in più di un’occasione, insieme ai fratelli, ad andarlo a recuperare ubriaco per le strade di Bonn. È in questa drammatica situazione familiare che Beethoven sviluppò una sorta di venerazione per il nonno paterno, l’omonimo kapellmeister di cui il nipote serbava solo qualche vago ricordo. Ciò nonostante, e al fine di non farsi schiacciare dalla mediocrità paterna, la rimozione della sua figura, che lo porterà all’estrema ipotesi di non essere suo figlio, andò di pari passo col processo di identificazione col più prossimo antenato di successo, il nonno: “Penso che probabilmente un giorno o l’altro avrò un colpo apoplettico, come il mio degno nonno, al quale assomiglio”, scriverà all’avvocato Johann Baptist Bach.
La pretesa nobiltà
Legate a doppio filo alle vicende familiari e al rifiuto delle proprie origini sono le voci sulla presunta nobiltà del compositore di Bonn che circolarono a Vienna per più di un ventennio e che lo stesso, anche solo evitando di smentirle, contribuì non poco ad alimentare. Diverse sono le documentate occasioni in cui il “von” popolare venne cambiato nel “van” nobiliare: la locandina di un concerto del 29 marzo 1975, che reca impresso “Herr Ludwig von Beethoven”; un rapporto segreto della polizia austriaca durante il Congresso di Vienna su “Herr von Beethoven”; addirittura una lettera in cui l’autore del Faust, Goethe, parla alla moglie di “Von Beethoven”. Una vicenda che, se non aveva alcuna relazione con necessità di ordine economico, aveva molto a che vedere con questioni d’ordine psicologico: “La pretesa nobiltà – scrive Maynard Solomon, biografo beethoveniano – può ricondurci al ‘romanzo familiare’ di Beethoven. Essa gli è necessaria per cercare di trascendere le proprie umili origini e la propria paternità”. Un sogno destinato a infrangersi nel Landrecht, il tribunale dei nobili chiamato a far chiarezza sulla questione e al quale il compositore confessò di non aver alcun documento genealogico a riprova della sua nobiltà.
I rifiuti del gentil sesso
Alla vana ricerca di origini diverse da quelle familiari si aggiunge, nella vita di Beethoven, quella altrettanto infelice di una donna con cui condividere un progetto di vita coniugale. Da nessuna delle sue mire affettive, e fin dagli anni giovanili della natia Bonn, era stato infatti adeguatamente contraccambiato, in una lunghissima serie di inesorabili fallimenti amorosi ai quali però egli stesso, seppur inconsciamente, aveva in qualche modo contribuito: “Non potrei certo sposarmi – scriveva nel 1801 all’amico d’infanzia Franz Wegeler – perché per me non vi è piacere più grande della pratica e dell’esercizio della mia arte”. Solo una donna, quella passata agli onori delle cronache con l’appellativo di Immortale Amata, aveva finalmente contraccambiato l’amore dell’immortale compositore: occasione nella quale fu lui, per la prima e ultima volta nella sua vita, ad abbandonare il campo.
Le turbolenze didattiche
Anche da allievo Beethoven seppe far sfoggio di un carattere difficilmente gestibile, come apprendiamo da diverse delle esternazioni da a verso alcuni dei suoi più celebri maestri, a cominciare dal compositore della corte viennese Antonio Salieri, che l’autore delle famose 32 sonate per pianoforte ebbe a definire il suo “(…) più grande detrattore”. Anche Johann Georg Albrechtsberger, suo insegnante di armonia e contrappunto, pare ebbe a consigliare di “(…) non avere niente a che fare con Beethoven: non ha imparato assolutamente nulla e non farà nulla di decente”. Dal canto suo Beethoven lo ripagava definendolo un “pedante musicale” solamente capace di realizzare “scheletri musicali”.
L’amore per Mozart
Alle critiche verso i vivi Beethoven affiancava però le riverenze verso alcuni dei più illustri defunti: ammirava profondamente Gluck, che poneva al fianco di Bach e Händel, mentre per Mozart (nato 14 anni prima di lui e morto quando lui aveva 21 anni) conservava una vera e propria venerazione: “Cramer – disse rivolgendosi a un celebre amico pianista durante l’esecuzione del Concerto per pianoforte e orchestra in Do minore di Wolfgang Amadeus – non saremo mai capaci di fare qualcosa di simile!”.