Politica

Minacce al governo, non solo Renzi: il Partito democratico lancia il sasso e nasconde la mano. Come da consuetudine

“Dobbiamo capire cosa nascondono le critiche” e per questo Giuseppe Conte ha voluto aprire un confronto con le forze di maggioranza “singolarmente” e “collettivamente”, in modo da evidenziarne il fondamento e le istanze che dovrebbero rappresentare. Questa ennesima apertura al dialogo e al confronto annunciata dal presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa al termine del consiglio Ue di qualche giorno fa, unita al richiamo ormai rituale alla “determinazione e alla fiducia” imprescindibili per proseguire l’azione di governo, era suonata chiaramente anche come volontà di andare a vedere le carte di chi fin dalla genesi del Conte 2 si è intestato la missione di ostacolarlo e delegittimarlo a prescindere.

All’origine della verifica ancora una volta il ricatto permanente di Matteo Renzi nei confronti del governo, che questa volta si concentra contro il presunto accentramento di poteri da parte del presidente del consiglio e lo “strapotere” della task force per il Recovery plan, peraltro delineata in ambito europeo e adottata in tutti i paesi Ue, come ha sottolineato e ripetuto il presidente del parlamento europeo David Sassoli a In mezz’ora in più.

E’ il caso di ricordare che alla situazione piuttosto “singolare” di una verifica in piena pandemia per sventare il rischio di una crisi nemmeno tanto virtuale, e che per quanto smentita a parole è agitata da più parti in modo ostentato o sotterraneo all’interno della maggioranza, non si è arrivati solo grazie alle gesta del bullo megalomane di Rignano.

Il Partito democratico – ora evidentemente un po’ spiazzato anche dalla valutazione espressa in privato da Conte, dopo la requisitoria di Renzi contro di lui in Senato, sull’opportunità a questo punto del ritorno al voto – sta facendo un’apparente marcia indietro anche sul rimpasto evocato a più riprese e sulla lista sterminata di rimproveri che fino a due settimane fa lanciava quotidianamente contro il protagonismo del premier, troppo accentratore e decisionista ma contemporaneamente troppo attendista sul Mes e in ritardo sul Recovery Plan.

I lunghissimi cahiers de doléances stilati dal Pd, che come ci ha ricordato Marco Travaglio sul Fatto lo scorso 27 novembre si è ritrovato senza merito alcuno e per “grazia ricevuta” da Salvini catapultato al governo a rimorchio di Conte, comprendono non solo lo stillicidio giornaliero su Mes, le pretese di rimpasto, le critiche obbligate all’Azzolina qualsiasi cosa faccia, le sferzate di Zingaretti per “il cambio di passo”, la “ripartenza” o il “nuovo inizio”.

La manifesta insoddisfazione dem e la voglia di dare “una scossa” o magari di staccare la spina al Conte 2, se il rischio non fosse troppo grosso, si è dimostrata molto concretamente con i soliti comportamenti tatticistici e opportunistici: la difesa a oltranza di De Luca, il linciaggio condiviso con berlusconiani e destre di Morra per coprire lo scandalo dell’arresto del presidente del consiglio regionale calabrese per associazione esterna e voto di scambio, l’offensiva contro la Raggi – “una minaccia per Roma” – a favore di Calenda o della Lorenzin, le profferte a B. in nome dell’emergenza, la crescente insofferenza per la determinazione di Conte – che i 209 miliardi del Recovery fund li ha portati a casa – di creare una cabina di regia per non lasciarli in balìa di un assalto alla diligenza mai visto prima.

Insomma anche il Pd si è dato parecchio da fare con un’opera costante di logoramento per spianare la strada all’offensiva di Renzi salvo, come da consuetudine, lanciare il sasso e ritirare la mano quando il gioco rischia di farsi decisamente serio: la delegazione dem all’incontro con Conte a quanto riferito da Nicola Zingaretti non avrebbe più parlato di rimpasto e avrebbe confermato il suo impegno all’esecutivo.

E d’altronde se un personaggio che ha interpretato continuativamente l’agire politico come un’attività finalizzata a “boicottare, ricattare, distruggere”, definizione sintetica di Barbara Spinelli, invece di essere isolato all’interno della maggioranza quando attacca gratuitamente il presidente del Consiglio si trova in sostanziale consonanza con i capigruppo del Pd, che a loro volta hanno pronunciato interventi sovrapponibili a quelli dell’opposizione, si capisce una elementare verità. E cioè che, come ha detto Nicola Morra in un’intervista al Fatto, molti di “coloro che in pubblico ostentano sostegno a Conte in realtà gradirebbero che venisse sostituito per interessi personali”.

Dove possano condurre gli “interessi personali” lo stiamo vedendo in queste ore con l’ultima messinscena di Renzi che, mentre continua a minacciare sfracelli e a delegittimare il Governo e il paese sulla stampa estera, ha rinviato last minute la convocazione di Conte accampando l’impegno a Bruxelles della Bellanova, dato che vuole presentarsi con tutte “le sue ministre” per dimostrare platealmente che lui può in qualsiasi momento ritirarle, perché Italia Viva, ovviamente, non sa cosa farsene delle poltrone.

E’ facile intuire come possa procedere la verifica con relativo “dialogo costruttivo”, e più ancora immaginare a cosa dovremo assistere durante la legislatura, a causa di una sedicente forza politica che stando alla simulazione sulla base degli ultimi sondaggi se si votasse domani con il Rosatellum, di sua invenzione, sparirebbe.