Maurizio Venafro, accusato di turbativa d’asta per l’assegnazione del servizio Cup della Regione nel 2014, è stato assolto in via definitiva dalla Suprema corte dopo che in primo grado era stato assolto e poi condannato in appello a un anno con pena sospesa. Nelle motivazioni, gli ermellini citano la prima sentenza per ribadire che non ci sono prove a suo carico né ragioni sufficienti che possano giustificare "un nuovo giudizio"
Il ruolo svolto da Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto della Regione Lazio nell’era Zingaretti, nella vicenda della gara d’appalto per l’assegnazione del servizio Cup nel 2014, ”non era collegato necessariamente a logiche illecite”. Lo scrivono i giudici della sesta sezione penale della Cassazione nella sentenza depositata oggi con cui lo scorso 22 settembre lo hanno definitivamente assolto. Venafro era accusato di turbativa d’asta ed era stato condannato nel maggio 2019 in appello a un anno con pena sospesa nell’ambito di uno dei filoni del processo Mafia Capitale (su cui poi la stessa Cassazione è intervenuta, escludendo l’aggravante mafiosa per i vari imputati), mentre in primo grado era stato assolto con formula piena.
Secondo gli ermellini, oltre a dare atto della “genericità degli argomenti della Corte di Appello, ben lontani dalla ‘motivazione rafforzata’ che giustifica il ribaltamento della decisione” rispetto alla sentenza di primo grado, bisogna sottolineare che non c’è “alcuna ragione residua che giustifichi un nuovo giudizio” per l’ex braccio destro di Zingaretti. “Due sono gli argomenti in base ai quali il tribunale era giunto alla conclusione che non vi fosse prova della responsabilità di Venafro”, si legge nelle motivazioni. Innanzitutto “non era possibile affermare che Venafro avesse consapevolmente indicato Angelo Scozzafava quale commissario di gara per gli interessi particolari di Buzzi e dei suoi associati nell’affare”
Citando pagina 64 della sentenza di primo grado, inoltre, i giudici osservano che “l’imputato si era limitato a segnalare il nome di Scozzafava in quanto caldeggiatogli dal capogruppo di Forza Italia, Gramazio, e che, poiché non emergevano altri elementi significativi quanto al coinvolgimento di Venafro (il tribunale rileva che vi erano anche state intercettazioni mirate nei suoi confronti ma con esito negativo) il suo interessamento poteva avere le ragioni politiche dichiarate. Il ruolo svolto, in tale nomina, quindi, non era collegato necessariamente a logiche illecite, né, soprattutto poteva essere collegato ‘anche in ciò che attraverso la nomina si andava a realizzare, dunque la fuga di notizie e l’ingerenza dell’appalto‘”.
I pm, invece, ipotizzavano che l’allora capo di gabinetto di Zingaretti avesse giocato un ruolo nella gara per l’assegnazione del servizio Cup, “in un’ottica di spartizione tra cooperative vicine ad ambienti di destra e di sinistra”. Appalto che era stato revocato dalla Pisana dopo i primi arresti nel dicembre del 2014. La Cassazione, oltre ad assolvere definitivamente Venafro, ha disposto un nuovo processo per Mario Monge, dirigente della cooperativa Sol.Co., condannato in appello a un anno e 4 mesi.