Si tratta di sostanze che vengono considerate potenzialmente pericolose e che secondo il quotidiano britannico potrebbero essere contenute nelle stoviglie, molto diffuse soprattutto nelle mense delle scuole: a causa del Covid, infatti. gli istituti si sono organizzati per conservare le “bolle” di separazione tra classi e in molti hanno adottato il pranzo "lunch box”
Come sono fatti i piatti “compostabili” (eco-friendly)? Secondo un’inchiesta pubblicata su The Guardian contengono Pfas ovvero potenziali cancerogeni. Questi piatti sono molto diffusi, soprattutto nelle mense delle scuole perché a causa del Covid – dagli asili in su – gli istituti si sono organizzati per conservare le “bolle” di separazione tra classi e in molti hanno adottato il pranzo “lunch box”. Graham Peaslee, docente di Chimica e Biochimica dell’università di Notre Dame, ha trovato nei campioni analizzati (19) una media di 1.670 ppm (parti per milione) di fluoro (sottoprodotto dei Pfas).
È necessario precisare che la famiglia dei Pfas – sostanze perfluoroalchiliche – è molto ampia (sono 4.730 le molecole classificate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) “alcuni dei composti Pfas ritenuti più tossici sono stati dichiarati illegali, ma l’industria ha creato nuovi composti sui quali non ci sono ancora evidenze tossicologiche sperimentali pur in presenza di forti sospetti che siano egualmente dannosi, inoltre – secondo Vito Felice Uricchio, Direttore del Cnr Irsa (Istituto di Ricerca sulle Acque) – per molti Pfas la conoscenza dei loro attuali usi e rischi è ancora molto limitata o manca del tutto”. La questione da dirimere è una: i Pfas sono presenti anche nei piatti compostabili in Italia, e soprattutto nei piatti dove pranzano i più piccoli a scuola? “Purtroppo non mi sento di escluderlo, e tra i vari danni che apportano essendo dei forti interferenti endocrini c’è quello di abbassare le difese immunitarie con una decisa diminuzione nella produzione di anticorpi – conclude Uricchio – cosa non certo positiva in questo momento”. Di estrema preoccupazione è la “biopersistenza” delle sostanze chimiche, la loro tendenza a persistere nell’ambiente (da 100 a 1000 anni), e per lunghi periodi all’interno del corpo. Secondo una overview pubblicata dalla CDC (Center for Disease Control, degli Stati Uniti), il nostro corpo può impiegare dai 4 ai 18 anni per espellere completamente i prodotti chimici Pfas a catena lunga, e alcuni mesi per quelli a catena corta.
“Nei campioni di cui parla The Guardian, i livelli di fluoro riscontrati possono essere indicazione di uso intenzionale di sostanze per- o poli- fluorurate, usate a scopo di impermeabilizzazione i piatti, – ci tiene a precisare Maria Rosaria Milana, direttrice del dipartimento Ecass (Esposizione a contaminanti in aria e suolo e da stili di vita) dell’Istituto superiore di sanità, che – i controlli di sicurezza alimentare sono competenza delle Regioni e province autonome. I materiali a contatto con alimenti, rientrano in questi piani di controllo”. A questo scopo, il coordinatore della Commissione Salute della Conferenza Stato-Regione, nonché assessore alla Salute del Piemonte, Luigi Icardi, ci ha informato che “In Piemonte abbiamo fortemente consigliato l’utilizzo di stoviglie non monouso (ceramica)”. In nord-Italia, in alcuni asili, è stata preferita la scelta dei piatti in ceramica, mantenendo il principio delle “bolle” di separazione, la cuoca passa con il carrello in classe, e riempie i piatti in ceramica. Icardi aggiunge anche che “la presenza di Pfas nei piatti compostabili è possibile, serve per rendere la carta e cartone impermeabili a grassi ed acqua. Se i materiali in uso presso la mensa, sono certificati conformi al Moca (materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti), non esiste alcun rischio di cessione di sostanze dannose o comunque non volute dal materiale all’alimento a contatto e quindi al consumatore – ma per eliminare ogni scrupolo disporremo da subito campionature per analizzare i piatti compostabili, gli esiti saranno disponibili nelle prossime settimane. Vogliamo essere certi che non si corrano rischi per la salute, a maggior ragione quando si tratta di mense per bambini”.
L’Efsa – Autorità europea per la sicurezza alimentare – prevede un limite per i Pfas di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana. Ma va anche detto che il gruppo di esperti scientifici dell’Efsa ha deciso di non eseguire la valutazione dell’esposizione per i Pfas il 100% dei dati. Di conseguenza, la valutazione dell’esposizione è stata limitata solamente a 17 tipi. Inoltre, l’Autorità ha evidenziato nel suo report che “i bambini piccoli ma anche quelli più grandi sono le fasce di popolazione maggiormente esposte l’esposizione ai Pfas e si può registrare, come effetto più critico per la salute umana, una diminuita risposta del sistema immunitario alle vaccinazioni”. Come ci conferma Martin Scheringer, dell’Istituto di biogeochimica e dinamica degli inquinanti (ETH Zurigo), “non tutti i Pfas sono normati, né valutati a livello di impatto sulla salute – non solo, in questo caso, continua Scheringer – potrebbero esserci dei Pfas non ancora regolamentati nei piatti compostabili”. In Europa “la Danimarca ha recentemente vietato l’uso di Pfas in qualsiasi materiale a contatto con gli alimenti – ci racconta Gretta Goldenman fondatrice della Milieu Law and Consulting, società di consulenza per istituzioni del settore pubblico in Europa – cinque paesi europei: Paesi Bassi, Germania, Svezia, Danimarca, e Norvegia stanno collaborando alla stesura di una restrizione ai sensi del regolamento Reach per la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche che vieterà tutti gli usi non essenziali dei Pfas”.
Lo studio dell’Istituto Mario Negri sui Pfas
Lo studio sulla presenza dei Pfas per alcuni confezioni per cibo
Foto di archivio