Non scrivo da un po’ su questo mio piccolo spazio di mondo.
Ho vissuto un anno particolare come tutti noi. E questo per assurdo mi ha fatto sentire spesso un po’ più dentro il mondo. Poi però, è accaduta una cosa apparentemente banale e che invece è stata forse la più profonda dell’intero anno.
Immagino che un po’ per tutti valga una sorta di regola non scritta per cui la nostra vita si divida in fasi, magari legate agli studi, alla crescita, al matrimonio o a fatti rilevanti che in qualche modo segnano vari periodi più o meno positivi. Per me lo spartiacque è stata la nascita di mia figlia Diletta prima e poi la morte del padre biologico della mia terza e ultima figlia quando ero incinta di cinque mesi.
Sono stati inizio e fine di un inferno durato circa dieci anni. Esiste un prima 1997 e un dopo 2007.
Gli anno avanzano e mi è capitato di incontrare persone a me care che non vedevo dalla mia giovinezza. E’ stato come fare una doccia di acqua e sabbia mischiate insieme.
Ho sentito inesorabile la differenza con una me ingenua, spensierata, piena di sogni e cuoricini e una me oggi. Dopo 23 anni e battaglie durissime su ogni fronte mi sono accorta di aver perso qualche marcia in più rispetto ai miei coetanei di allora. Sono a volte troppo profonda, un po’ pesante, mistica forse. Nel dialogo comune non sono più in grado di sorvolare, di fare finta e passare oltre. Ho perso il sorriso facile, la gioia di programmare una semplice uscita o anche un viaggio. Sento sulle spalle una responsabilità perenne e cosmica di fare rete con altre madri che ora stanno attraversando il loro cerchio di fuoco.
Sento come primario il bisogno di urlare loro che io so che spegneranno il fuoco con le loro lacrime e sentiranno una forza immensa dentro che solo poi chiameranno amore. Non riesco a gioire per un bell’abito o una borsa fermata che mi lasciano abbastanza indifferente ma mi capita sempre più spesso di commuovermi per la luce che vedo negli occhi di qualcuno.
Non esiste la disabilità come unica condizione. Non è la disabilità che mi ha provata. La vera arma che ho combattuto è l’ignoranza che porta indifferenza e giudizio.
Indifferenza e giudizio. Sembra contraddittorio e invece non lo è. Da un lato a pochissimi importa davvero del dolore degli altri qualunque sia il problema, ma in tantissimi sono pronti ad elevarsi a giudici per criticarne il presunto motivo che deve naturalmente condurli lontanissimi da quella malaugurata ipotesi.
Questo anno ha fatto crollare molte certezze, tanti equilibri, molte relazioni interpersonali. Volge al termine un anno di prova plenaria e comune che ci ha diviso in categorie, che ci ha sbattuti sulla lavagna divisi tra buoni e cattivi.
I veri lavoratori poveri e quelli con lo stipendio regalato.
Le madri a casa a fare le educatrici in dad relegate come tanti anni fa a fare pane e pasta e dolci consumando merende e libri e confrontandosi con un ruolo genitoriale un po’ avvizzito.
Cassintegrati di successo e manager improbabili, i bonus della qualunque che non ha tenuto conto del sommerso e del compromesso. Pacchi alimentari a volte della vergogna alter della dignità a seconda del quartiere e della zona.
Figli di serie A collegati con I-pad di ultima generazione, figli di serie Z col professore a un metro sotto il balcone e non figli con gravissime disabilità che davanti al pc non siamo riusciti a farli stare più di due secondi.
Volti politici che si sono avvicendati nel raccontare un mondo spesso ignoto a tutti che purtroppo dobbiamo ancora costruire.
Ecco perché sono mancata da questo mio piccolo angolo di mondo. Sono stata travolta dall’emozione dal dolore, dalla consapevolezza di essere il nulla cosmico in un mare di dolore, di lutto, di problemi. Un silenzio dovuto per chi non ha avuto mai lo spazio sufficiente.
Sarà un Natale diverso in fondo non per tutti. Chi nella vita è caregiver (così ci chiamano) avrà un Natale meraviglioso se potrà gestire anche questi giorni nel consueto totale abbandono istituzionale. Saranno sole moltissime famiglie ma sappiate che non è poi così male. E ve lo dice chi sta sola spesso e durante le feste lo è di più.
Potremo ritrovarci con noi stessi e forse, come è accaduto a me, può essere un momento importante per tutti. Un nuovo spartiacque, una nuova consapevolezza. Ho avuto paura di dover portare mia figlia disabile gravissima in ospedale. Ho affrontato momenti di paura e di inadeguatezza per crisi e dolori, per grida e paure sue e per momenti complessi che tutta la famiglia ha vissuto.
Noi madri, tutori, amministratori, caregiver viviamo con tante di quelle etichette addosso che alla fine subiamo una sorta di ansia da prestazione e spesso dimentichiamo anche chi siamo davvero: persone private che ogni giorno mestamente, umilmente provano a farcela con dignità.
Abbiamo tanta dignità, noi italiani. Portiamo il dolore sulle spalle con grande decoro.
Siamo tutti un po’ piegati ma facciamo finta che sia un’andatura che va di moda. La nostra dignità mi è stata scritta da numerose mail, da tante testimonianze che ho ricevuto e da tanti scambi epistolari con molte persone.
Ci tengo ad augurare a tutti di cogliere l’occasione di segnare il confine tra dolore e paura con un nuovo inizio. Usciamo provati da un momento difficile e ognuno di noi può stringere l’occhio al suo vicino, all’estraneo che incontra per strada e percepire che anche nella più totale differenza apparente la luce dei nostri occhi è simile.
Saremo in meno seduti a tavola ma io sono certa che questo farà da motore per migliorarci tutti nel senso civico, del rispetto della regola per il bene comune. E di questo chi da sempre è ai margini ne avrà un beneficio.
Voglio distaccarmi dal singolo accadimento o dall’opinione di merito e voglio solo virtualmente abbracciare tutti coloro che avranno occasione di leggere queste mie righe e mi regaleranno qualche minuto del loro tempo.
Auguro a tutti di trovare la strada favorevole e di raggiungere sempre quella luce che si trova in fondo. Buone Feste.