La copertura mediatica della corsa allo sviluppo dei candidati vaccini anti Covid ha in qualche modo “oscurato” il lavoro dei ricercatori impegnati sull’altro fronte della battaglia contro il nuovo coronavirus: non quello profilattico ma quello terapeutico. È almeno da maggio che si parla di anticorpi monoclonali e della possibilità che possano diventare il game changer della lotta alla pandemia, uno strumento complementare al vaccino. Le sperimentazioni non solo sono partite lo scorso agosto, ma sono anche terminate con l’approvazione ormai un mese da parte della Food and drug administration. E dagli Usa le notizie che arrivano sono confortanti.
L’immunologa Antonella Viola sulla pagina Facebook in un cui risponde a una domanda al giorno scrive: “Gli anticorpi monoclonali delle aziende Lilly e Regeneron sono stati già da tempo approvati dalla Fda per uso d’emergenza. Perché non in Europa? L’autorizzazione Usa riguarda pazienti di almeno 12 anni, non ospedalizzati (quindi nelle fasi iniziali dell’infezione) ma ad alto rischio di sviluppare Covid-19 in forma severa (obesi con BMI>35; più di 65 anni; con malattie croniche come diabete, malattie renali, cardiovascolari, respiratorie, etc.). Sembra sempre più evidente che i tempi fanno la differenza e che prevenire lo sviluppo della forma grave della malattia sia più efficace che intervenire tardi. È sorprendente questo ritardo dell’Europa: cosa stiamo aspettando?
Ma cosa sono? Gli anticorpi monoclonali sono delle “copie” identiche di anticorpi – prodotte in laboratorio – identificati nei pazienti convalescenti o guariti da Covid 19. Sono “armi biologiche”, molecole naturalmente presenti nel nostro organismo con cui viene prodotto il farmaco capace di neutralizzare il virus. I ricercatori hanno isolato gli anticorpi dai pazienti in fase di recupero e identificato quelli che meglio hanno “neutralizzato” Sars Cov 2 legandosi a esso e impedendogli di replicarsi. Poi hanno prodotto in laboratorio questi anticorpi. I monoclonali in passato hanno funzionato per Ebola e quindi l’obiettivo era replicare quel successo.
Il farmaco della Eli Lilly autorizzato negli Usa un mese fa è stato destinato al trattamento di adulti e bambini di età pari o superiore a 12 anni con un test Covid-19 positivo, che sono ad alto rischio di progredire in forme gravi o di essere ospedalizzati. Deve essere somministrato “il prima possibile” ed entro 10 giorni dall’insorgenza dei sintomi. L’autorizzazione della Fda ha consentito la distribuzione e l’uso di emergenza del farmaco che viene somministrato tramite una singola infusione endovenosa. I pazienti trattati hanno mostrato “una ridotta carica virale e tassi ridotti di sintomi e ospedalizzazione” secondo l’azienda. E dall’inizio del loro uso a oggi hanno ridotto il rischio di malattia severa del 75-90%.