Il tribunale di Milano ha disposto il sequestro per oltre mezzo milione di euro a carico dell’ex europarlamentare Lara Comi e altri cinque indagati. Al centro l’accusa di truffa aggravata ai danni del Parlamento europeo per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Secondo la richiesta della Procura accolta dal giudice (inchiesta coordinata dai pm Silvia Bonardi, Adriano Scudieri e Luigi Furno) buona parte degli stipendi di almeno due dei suoi assistenti sarebbe stata intascata dalla stessa Comi. La cifra contestata e sottoposta a sequestro è di 525mila euro e copre i due mandati svolti dalla Comi a Bruxelles, dal 2009 al 2019. Il decreto di sequestro ai fini di confisca per equivalente riguarda due capi d’imputazioni per il medesimo titolo di reato. Oltre alla Comi ci sono altri cinque indagati. L’ex fedelissima di Silvio Berlusconi nonché ex coordinatrice provinciale di Fi è attualmente indagata per finanziamento illecito nell’inchiesta dell’antimafia di Milano chiamata Mensa dei poveri. Dalle carte di quel fascicolo emerge anche la vicinanza politica tra Comi e Nino Caianiello, presunto regista delle tangenti.
La vicenda della truffa al Parlamento europeo è una costola della Mensa dei poveri. L’inchiesta diventa pubblica nel maggio 2019, ma già a febbraio l’ufficio europeo antifrode (Olaf) segnala, dopo aver ricevuto una denuncia anonima, “alcune presunte irregolarità a danno del bilancio Ue e gravi inadempimenti degli obblighi professionali da parte di Lara Comi”. Le acquisizioni documentali e soprattutto le testimonianze chiudono il cerchio dell’accusa. Tanto che la Procura scrive: “Lara Comi” ha “in modo sistematico e assolutamente spregiudicato piegato ai fini personali il proprio ufficio pubblico commettendo una serie di illeciti allo scopo di drenare denaro dalle casse dell’Unione europea”.
Due gli episodi contestati. Il primo e più recente riguarda una truffa di 104mila euro. Qui la persona assunta in modo “fittizio” è Giovanni Enrico Saia anche lui indagato. Come indagato è il cosiddetto “terzo erogatore” e cioè colui che riceve il denaro pubblico e lo gira agli assistenti del parlamentare. Si tratta di Gianfranco Bernieri che risulterà imparentato con una prima assistente impiegata dalla Comi dal 2010 al 2015, intascando, secondo l’accusa, oltre 400mila euro. Saia in un primo verbale spiega di aver preso lo stipendio (circa 2800 euro mensili) in contanti nell’ufficio milanese di Bernieri. Ricostruzione falsa, lo si vedrà poi, e soprattutto concordata con persone vicine alla Comi. Lo stesso Bernieri spiega ai pm. “Quando la Comi mi disse di assumere Saia, a differenza delle altre assunzioni, mi chiese di non corrispondere lo stipendio al dipendente ma di effettuare il pagamento a lei stessa che avrebbe provveduto a liquidare personalmente Saia (…). Gli assegni recanti le girate per la monetizzazione venivano sistematicamente consegnati nelle mani di Lara Comi e di Renato Comi (padre dell’ex eurodeputata, non indagato)”. Il denaro tratto dagli assegni, secondo la ricostruzione, veniva messo in alcune buste tenute in cassaforte, da lì prelevate e consegnate al politico o al parente. Traccia di queste modalità la si trova nella lettura delle chat di Giannipio Gravina, titolare di una società di comunicazione e referente locale della Comi. Qui Gravina, anche lui indagato, parla di “buste”. Il metodo sarà confermato dal verbale di un assistente del mediatore Bernieri.
Del resto Saia messo davanti alle quietanze di pagamento del suo stipendio firmate dalla Comi spiega: “Non ho mai visto questi documenti, avrei dovuti firmarli io, non so spiegare perché siano firmate da Lara e Renato Comi”. Alla fine Saia ammette e spiega che Comi e le persone a lei vicine “sono riuscite a ottenere da me tutto quello che desideravano”. Saia accetterà il lavoro “sia perché non avevo altre prospettive lavorative sia per il prestigio dell’impiego”.
A condurre in parte la regia della truffa non c’è, secondo l’accusa, solo Lara Comi. Al suo fianco, nell’impianto dei pm, anche Giannipio Gravina. “Fu lui – prosegue Saia – a dirmi che se fossi stato sentito da voi (rivolto ai pm, ndr) avrei dovuto dichiarare di aver preso questo contante da Bernieri”. E’ questa infatti la prima versione di Saia che mostra “timore” nei confronti degli amici di Lara Comi. Lo stesso Gravina, emerge dagli atti e dall’analisi dei tabulati telefonici, ha utilizzato la carta prepagata di Saia per vacanze a Monte Carlo e Courmayeur. Poi nell’estate del 2019, con l’inchiesta Mensa dei Poveri e il nome di Comi già sui giornali, Gravina incontra Saia al ristorante. “Gravina mi impose perentoriamente il silenzio. Ricordo che disse: è meglio anche per te se fai come ti dico. Non hanno nulla in mano. Fai quello che ti dico, stai sereno che a te ci pensiamo noi, anche l’avvocato te lo paghiamo noi ”. Dopodiché lo istruisce su come comportarsi durante un interrogatorio. Spiega Saia: “Disse Gravina: alle domande rispondi sinteticamente senza dilungarti altrimenti rischi di incartarti, ricordati che devi cancellare le chat tra me e te”. Annotano i magistrati: “Le indagini hanno accertato che Saia è stato deliberatamente assunto come assistente locale dell’ex deputato Lara Comi in modo che altre persone potessero beneficiare finanziariamente della sua occupazione”. Il calcolo, come detto, si ferma a 104mila euro dal 2014 al 2017. Il resto della somma per la quale è stato disposto il sequestro deriva dallo stipendio incassato da una precedente assistente che ha lavorato per la Comi dal 2010 al 2015, guadagnando 522mila euro. Di questi 311mila sono finiti a Lara Comi “direttamente o attraverso i suoi genitori”. Il danno contabilizzato all’Ue è però di 422mila che sommati ai primi 104mila porta la cifra totale a 525mila euro.