“Il Milan non dura, il Milan prima o poi scende”. Lo dicevano tutti, non dicevano altro da settimane. Più che altro ci speravano, gufavano, perché i rossoneri così in alto, davanti a tutti mentre tutti gli altri arrancano, cominciavano davvero a far paura. Alla fine a furia di ripeterlo è successo, e non per il classico meccanismo delle profezie auto-avveranti, e nemmeno per scaramanzia, ma semplicemente perché era inevitabile: tanto doveva fermarsi, che il Milan si è fermato. Attenzione, non è caduto. Anche ieri contro il Genoa non ha perso: come contro il Parma è andato in svantaggio due volte, ha lottato, ha rimontato. La striscia di risultati utili consecutivi in Serie A si allunga a 24: la squadra di Pioli non perde una partita dall’8 marzo scorso, da prima del Covid. Con il 2-2 di ieri sera, poi, fanno 14 gare di fila con almeno due reti segnate, battuto il record del Grande Torino. Numeri che danno conto dell’impressionante crescita dei ragazzi di Pioli, da tutti i punti di vista, tecnico, tattico e caratteriale.
Ciononostante il doppio pareggio, contro due avversarie abbordabili come Parma e Genoa, è indubbiamente uno stop. Il vantaggio sulle rivali, in particolare sull’Inter, si è ridotto ad appena un punto, in un turno per giunta favorevole sulla carta. È la prima vera frenata del campionato. Quella che tutti si aspettavano. In fondo persino i più ottimisti tifosi rossoneri. Per quanto possa aver fatto bene fino ad ora, e possa continuare a farlo in futuro, il Milan non è una squadra che può vincere tutte le partite. Perché non è una squadra da scudetto, non è stata costruita per questo. I rossoneri vengono da anni di sbando totale, tecnico e societario. Hanno cambiato allenatori su allenatori, prima che Pioli, arrivato nello scetticismo generale, riuscisse a ritrovare il bandolo della matassa. Anche la dirigenza ha attraversato rivoluzioni, sconvolgimenti, fiaschi in serie, e soltanto negli ultimi due mercati ha indovinando qualche mossa (essenzialmente una: l’acquisto di Ibrahimovic).
Oggi il Milan è una squadra, ha un’identità, un progetto, che potrebbe riportarla ad essere grande. Infatti sul campo raccoglie risultati, ed è primo in classifica. Però il divario con le favorite – la Juventus che domina il campionato da un decennio, l’Inter che è la sua sfidante naturale, pure il Napoli di Gattuso – al momento è ancora abissale. È una questione proprio di mezzi, di risorse. Sono bastate le prime assenze ad inceppare la macchina di Pioli. E non si tratta solo di Ibrahimovic. Ogni squadra, anche la più forte, è dipendente dal suo campione: vale per l’Inter di Lukaku, per la Juve che senza Ronaldo ha pareggiato con Crotone e Benevento. Il Milan lo è però ancora di più, perché non ha nemmeno un centravanti di riserva. Ed ancora più scoperta è in altrettanti ruoli nevralgici, dove i vari Kessiè, Theo Hernandez, Romagnoli, non hanno alternativa: nelle ultime gare con un paio di infortuni è stata già emergenza, con Pioli costretto a schierare una banda di ragazzini.
Fin qui non si era visto per bravura, tanto entusiasmo e un pizzico di fortuna. Alla lunga potrebbe pesare. Certo, alle porte c’è sempre il mercato: a gennaio i rossoneri potranno rinforzarsi, colmare una o due lacune. Ma lo faranno anche gli altri, e comunque inutile aspettarsi follie (il bilancio non lo consente, la crisi per il Covid nemmeno): a prescindere dai risultati, delle prossime giornate e di tutto il campionato, ci vorrà tempo per colmare il gap. Magari cominciando da quest’anno, conquistando un posto in Champions League, un grande risultato. Lo scudetto, invece, sarebbe un miracolo. Ora il Milan non deve pensarci, e non deve pensare troppo nemmeno a questa prima frenata, che non toglie nulla al percorso di quest’inizio stagione. Anzi, sarà la vera prova della sua crescita. In fondo, il più forte non è che non si cade, perché tutti cadono. Il più forte è chi riesce a rialzarsi.