Arancione, anzi giallo, ma forse è meglio rosso. Nel breve volgere di pochi giorni Milano e la Lombardia si sono scoperte cangianti e incoerenti come un semaforo impazzito. E’ stato identico anche l’effetto-ingorgo: lo stesso caos che si sarebbe generato in un incrocio non regolamentato si è verificato nel centro del capoluogo, come testimoniato dalle immagini che tanto hanno fatto discutere.
E di persona la situazione era ancora più impressionante: sabato 12 mi trovavo in Piazza Fontana per la commemorazione della strage del 1969, ma la bolgia che si andava ammassando nella zona mi ha costretto a fuggire. Gli assembramenti sono colpa dei cittadini o della politica? In quota-parte certamente entrambi hanno delle responsabilità, ma i cittadini hanno un’enorme attenuante: l’incertezza relativa alla titolarità della decisione politica.
L’onere spetta in parte allo Stato e in parte alle Regioni, ma anche i sindaci possono (e devono) interdire o limitare l’accesso ad alcune zone in caso di necessità. Tale confusione comporta continui palleggiamenti di responsabilità e scaricabarile che di certo non aiutano la popolazione, sempre più frastornata di fronte a mutamenti dei quali è difficile comprendere la ratio.
Questo aspetto specifico si inserisce nel più ampio quadro delle riforme che il Covid-19 ci ha posto davanti agli occhi, quali necessità impellente. Rispetto ai sindaci, un’altra stridente contraddizione sta nel fatto che ad essi sia demandata la tutela della salute dei propri cittadini, ma senza che vengano loro conferiti strumenti idonei per poter adempiere al compito.
Le competenze sanitarie, come noto, sono in capo alle Regioni, ma la pandemia ci ha fatto comprendere quanto sia assurdo avere 20 diversi sistemi sanitari nel Paese. Una maggior regia da parte dello Stato è necessaria, ma questo non significa che si debba agire con impeto centralista: al contrario, le Regioni dovrebbero rapidamente essere alleggerite di alcune competenze anche in una direzione più locale, ovvero in favore delle amministrazioni comunali.
Ovviamente non sarà un cambiamento facile, ma compierlo sarebbe fondamentale per gestire al meglio servizi come i Covid-hotel e, più in generale, tutti i servizi di prossimità territoriale che hanno denunciato le loro carenze in questo anno tremendo.
Andando ancora più in profondità, va sanata l’innaturale frattura che si creata – principalmente per volontà regionale – tra gli aspetti sociali e quelli sanitari. Questo vale anche nello straordinario Terzo Settore lombardo e specialmente meneghino, al quale – come sempre accade all’approssimarsi di elezioni – un po’ tutti cercano di strizzare l’occhio.
Chi lo frequenta da tempi non sospetti conosce bene la determinazione con la quale esso si batte per affermare non solo l’importanza della territorialità (e il Covid-19 purtroppo ci ha dato inequivocabili conferme), ma anche la necessità di superare l’approccio aziendalista e passare a una cura della persona in senso più ampio.
Questo presuppone che si tengano insieme gli aspetti sociali, sanitari e relativi alla salute psicologica, messa a dura prova non solo dalla pandemia, che è una causa di forza maggiore, ma anche da scelte decisamente discutibili. E su questo possiamo davvero migliorare molto.