di Andrea Marchina
L’altra sera su Rai3, a Cartabianca, dopo aver assistito allo scalmanarsi di Giorgia Meloni che ripeteva allo sfinimento il mantra delle elezioni anticipate, stavo per cambiare canale nella speranza di passare la serata lontano dalle sirene della cronaca politica, Quando, all’improvviso, vedo entrare in studio uno dei più agguerriti oppositori di questa maggioranza e di questo Governo.
Matteo Salvini? direte voi. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi? Qualche imprenditore scontento e contrario ai bonus? No, Matteo Renzi. Lo so, forse solo in pochi lo avevate notato, ma a quanto pare il suo (micro) partito è parte della maggioranza e, a giorni alterni, dice pure di sostenere il Governo (non ridete).
Al di là delle simpatie o antipatie che può suscitare un simile personaggio, la sua comparsa è stata per me un’illuminazione: finalmente – mi sono detto – avrà modo di chiarire la narrazione surreale che circola sui giornali riguardo a una possibile crisi di Governo, in piena pandemia, con picchi di 800-900 morti al giorno e con la distribuzione dei vaccini che si spera potrà iniziare presto anche in Italia.
Avrà anche modo di chiarire – pensavo – come possano convivere la volontà di sostenere il governo (“Crisi di governo? Non ci penso nemmeno”, Matteo Renzi, 15/12) e l’intenzione di farlo cadere (“Le ministre di Italia Viva sono pronte a dimettersi”, Matteo Renzi, 15/12).
Niente, una delusione: a lui piace lasciarci nel dubbio. Tuttavia, senza uscire allo scoperto, il “rottamatore” lanciava messaggi cifrati per farci capire che la grande questione, dietro all’intenzione di sfiduciare il governo e allo stesso tempo di salvarlo dalla sfiducia, ha un che di eroico: salvarci dal tiranno Giuseppe Conte, perché “non è che i pieni poteri se vengono chiesti con la cravatta e con la pochette vanno bene”.
Terrorizzato, cercavo di capire cosa si nascondesse dietro questa ammonizione e quale fosse il pericolo imminente. Credo di averlo capito: da una parte la cabina di regia per la gestione dei miliardi del Recovery Fund, perché “nessun Paese civile al mondo sostituisce il Governo con una task force”; dall’altra la delega ai servizi segreti, che “sono di tutti” e non possono certamente essere lasciati in mano al Presidente del Consiglio.
Peccato che il Dis – il dipartimento da cui dipendono i servizi segreti italiani – sia incardinato presso la Presidenza del Consiglio (legge n. 124/2007) e la cessione della delega ad altri ministeri è solo un’opzione alternativa prevista dalla legge. Quindi nessun abuso di potere.
Per quanto riguarda la gestione dei fondi europei, a quanto ci risulta, nessuna struttura esterna prenderà il posto del governo, del Parlamento e degli enti locali, che manterranno i loro poteri in tutta la fase decisionale e attuativa, lasciando ai tecnici solo il (sacrosanto) compito di monitorare le spese e gli investimenti.
E mi stupisce che a puntare i piedi sulla decisione di istituire una task force sia la stessa persona che a settembre, parlando del Piano Shock per l’Italia, dichiarava che “in un Paese normale le cose funzionerebbero a prescindere dalle strutture commissariali, ma chi fa politica affronta la realtà e non il proprio pregiudizio ideologico” e prendeva ad esempio la messa in sicurezza di Pompei grazie alla “scelta di una procedura commissariale”.
Ma anche i deliri più incontenibili possono avere un fondo di verità o, quantomeno, uno scopo. Essendo quest’ultimo imprecisato, non mi restano che alcune supposizioni. Non sarà certo un tentativo di distogliere l’attenzione dalle indagini a suo carico per il caso dei finanziamenti illeciti alla Fondazione Open.
Forse quello a cui punta, con tutti quei miliardi all’orizzonte, è un governo di larghe intese che permetterebbe di piazzare le persone giuste nei posti giusti a occuparsi degli interessi giusti? Oppure siamo di fronte a un tentato suicidio politico, anch’esso legittimo (se non in parte auspicabile)? Ci spieghi, Onorevole, perché davvero non la si capisce più.