“Tra la fine di agosto e quella di settembre del 1943, in un’area estesa poco più di 4 chilometri quadrati, inclusi i 66 ettari della città antica, vengono sganciate non meno di 5200 bombe per 830 tonnellate di peso… A distanza di oltre settant’anni da quei tragici eventi, questo volume ricostruisce quanto accaduto al sito archeologico in quella fine d’estate del 1943. Pompei antica è scudo culturale per le truppe tedesche che si acquartierarono intorno ad essa… ma è anche un consapevole collateral damage per gli Alleati, attori di una lotta in cui le decisioni militari sono preminenti …”.
I due autori, Giuseppe Angelone e Gianluca Vitagliano, scrivono così nella premessa a Just West of Pompeii. Il sito archeologico e i bombardamenti dell’estate 1943, il volume pubblicato recentemente attraverso il canale dell’autoedizione. Un lavoro che prende in considerazione la città antica, partendo dall’analisi di foto aeree realizzate, allora.
Una analisi che ha il sapore di una nuova scoperta. Come invece si è verificato alla fine dello scorso novembre nell’area della grande villa suburbana, a 700 metri a nord ovest di Pompei, in località Civita Giuliana, dove nel 2017 sono stati rinvenuti i resti di tre cavalli bardati. Qui sono riemersi dalle ceneri, grazie alla tecnica dei calchi in gesso, i corpi di due antichi pompeiani, travolti dalla furia dell’eruzione del 79 d. C.: “Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei è importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti, ma perché è un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora più di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro”, ha detto il ministro Franceschini, commentando la scoperta.
Insomma Pompei sembra al centro dell’interesse. Nazionale, ma anche internazionale. Un luogo di indagine, forse. Attraverso le ricerche in corso. Direttamente sul terreno, ma anche nelle biblioteche e negli archivi. Procedendo a scavi e ad interventi di restauro. Allo studio di quanto evidenziato, attraverso confronti con altri contesti. Alla ricerca di nuove testimonianze scandagliando nei depositi le testimonianze dei vecchi scavi.
Un luogo, certo, per addetti ai lavori – archeologi e architetti, storici dell’arte e restauratori, ingegneri e geologi – ma ovviamente anche per appassionati e curiosi, per turisti occasionali e visitatori instancabili. Perché lì, all’interno del sito archeologico che nel 1997 è entrato a far parte della lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, è possibile osservare tanto, anzi tantissimo. Al punto da risultare uno spazio quasi infinito nel quale perdersi.
Passeggiare tra l’atrio della Casa di Pansa e la Necropoli di Porta Nocera. Gli affreschi della casa di Marco Lucrezio Frontone e la fontana delle Terme Suburbane. Gli affreschi raffiguranti i danni provocati dal sisma del 62 all’interno della Casa di Lucio Cecilio Giocondo e il Tempio di Apollo. Moltissimo altro, naturalmente.
Anche per questo la prolungata chiusura del Parco archeologico, come degli altri luoghi della cultura, decisa per contrastare la nuova ondata di pandemia dal Decreto del Presidente del Consiglio del 3 novembre e confermata da quello del 3 dicembre, risulta gravosa oltre ogni misura perché chiude alla possibilità di rifugiarsi, almeno per qualche ora, in uno spazio simbolico. Lontano dai clamori e dagli assembramenti delle vie dello shopping delle città. Distante dai centri commerciali, presi d’assalto nei giorni consentiti. Isolato rispetto a ristoranti e locali nei quali si concentrano frotte di persone.
Con le necessarie precauzioni, evitando lo sconsiderato sovraffollamento presente nel pre-Covid-19, Pompei avrebbe potuto regalare un sorriso. In tutta sicurezza. Un’area archeologica, all’aperto, tanto più le centinaia disseminate per l’Italia scarsamente frequentate “prima”, non è una palestra, né un supermercato durante il fine settimana. Neppure un lungomare in una giornata di sole.
Si può continuare a mangiare ogni tipo di cibo, grazie all’asporto. Con la possibilità di ricevere quel che si vuole, comodamente a domicilio. Nessuna rinuncia alla nostra alimentazione. In compenso divieto assoluto di entrare in un’area archeologica, anche se si tratta di una intera città come Pompei. Qui il rischio è soltanto quello di perdersi, inseguendo il filo rosso della conoscenza migliore, quella innescata dalla curiosità. Da quella scintilla che sembra proprio sia necessario spegnere. Per decreto.
Così Pompei rimane lì. In attesa della nuova scoperta. Sensazionale, naturalmente. Una nuova scoperta che attirerà ancora interesse, ricevendo l’attenzione di quotidiani e tv. Ma intanto le persone sono fuori: private della possibilità di nutrire interessi, passioni. Insomma di quel che fa la differenza. Alleggerendo, arricchendo. Non solo in questi sciagurati tempi di pandemia.