Il fondo da 12 miliardi per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei fornitori, creato in estate con il decreto Rilancio, è stato “saccheggiato” per finanziare i decreti Ristori. Un paradosso che rappresenta solo l’ultimo capitolo di una saga che nessun governo è riuscito a chiudere, nonostante le promesse. Con l’emergenza Covid, a complicare la situazione ci si è messo anche lo smartworking dei dipendenti di amministrazioni centrali, scuole, università, Asl ed enti locali, che in molti casi ha rallentato ulteriormente le procedure. “C’è stato un miglioramento rispetto al passato, ma ancora c’è molto da fare”, spiega Maurizio Postal, responsabile fiscale del consiglio dell’Ordine dei commercialisti. “Siamo ancora lontani dalla media europea. A questo poi si aggiunga che le procedure non sono ancora ovunque informatizzate e le documentazioni non sono native digitali. Con il risultato che la diffusione del lavoro agile nelle amministrazioni ha generato spesso e volentieri rallentamenti della macchina pubblica”. E questo, secondo il Coordinamento Libere associazioni professionali (CoLap), è vero anche nella fase di registrazione delle fatture che successivamente lo Stato mette in pagamento.
Come spiega Cribis, società del gruppo Crif specializzata nella business information, anche nel 2020 “i pagamenti alla scadenza della pubblica amministrazione restano sotto la media delle imprese italiane”. “Solo il 29,8% nella pubblica amministrazione rispetta la scadenza fissata (a fronte del 35,2% delle imprese), mentre i ritardi gravi (oltre 30 giorni) sono al 18,9% contro il 12,7% delle imprese”, si legge nello studio Cribis sulle abitudini di pagamento della Pubblica amministrazione, aggiornato al 30 settembre 2020. “Nel settore Asl e sanità, lo studio evidenzia negli ultimi due anni un calo progressivo dei ritardi gravi che, dal 41,6% del 2018, sono passati al 25,5% di fine settembre – si legge in una nota dell’azienda -. Di contro, sono aumentati i ritardi fino a 30 giorni: erano il 57,9% nel 2018, sono saliti al 62,2% nel 2019 e a settembre hanno raggiunto il 74%. Nella sanità sono però quasi inesistenti i pagamenti puntuali, che oscillano dallo 0,5% del 2018 all’1% dell’anno scorso, per tornare allo 0,5% nell’ultimo trimestre del 2020”.
Detta in altri termini, la strada da percorrere per arrivare al rispetto dei tempi di pagamento previsti per legge è ancora lunga e tormentata. Secondo quanto riferisce un recente studio della Cgia di Mestre, su dodici ministeri solo la Farnesina ha pagato in anticipo di 17 giorni i propri fornitori rispetto alle scadenze previste per legge (30 giorni, raddoppiati per i fornitori nella sanità). Tutti gli altri hanno versato il dovuto in ritardo. Il peggior pagatore è stato il ministero degli Interni con 62 giorni di ritardi. Sono seguiti poi Agricoltura (61 giorni), Ambiente (53), Infrastrutture (49), Beni culturali (30). Non pervenuti i ministeri di Istruzione/Università, Salute e Giustizia i cui dati restano nascosti.
La situazione è ancora più complessa nelle amministrazioni periferiche e nelle società partecipate. I dati del Tesoro, che monitora trimestralmente fatture e tempi di pagamento, offrono uno spaccato inquietante del numero di fatture che cumulano sulle scrivanie di enti locali, scuole, asl. Fra gennaio e marzo 2020, sono stati registrate fatture non pagate da oltre 12 mesi per 3,8 miliardi di euro. La sola Capitale ne ha in bilancio circa 114 milioni, il comune di Napoli 73, quello di Catania 72. Fra le Regioni non brilla la Campania con 45 milioni di fatture non pagate da oltre un anno. E nemmeno il Molise (19 milioni).
Questa situazione non fa altro che mettere sotto pressione i fornitori. Secondo un recente studio Irec, nel Lazio per sette piccole e medie imprese su dieci è difficile recuperare i propri crediti. “Solamente il 36% delle fatture emesse vengono pagate a scadenza. Il 13% delle fatture invece vengono pagate con un ritardo maggiore di 90 giorni” precisa l’analisi di Irec, specializzata in recupero crediti. Nell’indagine che ha coinvolto 1.200 imprese e professionisti per un valore d’affari superiore al miliardo, Irec ha riscontrato che “il 72% delle aziende e dei professionisti intervistati ha dichiarato di aver riscontrato enormi difficoltà nel recupero dei propri crediti da marzo ad oggi, e il 14% non ha più riaperto dopo il lockdown, per una chiusura che in molti casi si preannuncia come definitiva”. La situazione non è diversa nelle altre regioni italiane dove la puntualità nei pagamenti della pubblica amministrazione potrebbe invece essere un volano importante per evitare una crisi ancora più profonda di quella attuale. E che finirebbe inevitabilmente anche ad avere un pesante impatto sulle banche, alle prese con la nuova normativa europea per la svalutazione dei crediti inesigibili in portafoglio.