La maggior parte degli europei chiede più regole contro il virus e solo una piccola minoranza ritiene che il suo governo abbia imposto troppe restrizioni. E la preoccupazione per il contagio è in media più forte rispetto a quella per le ricadute economiche delle limitazioni necessarie per superare l’emergenza. Sono i principali risultati di un sondaggio realizzato da YouGov per Repubblica e la Leading European Newspaper Alliance in nove Paesi: Germania, Spagna, Svizzera, Francia, Italia, Polonia, Regno Unito, Svezia e Belgio. Stati in cui l’impatto del Covid è stato diverso, così come le azioni di contenimento (la Svezia ha deciso di far “correre” il virus e oggi conta molti più morti rispetto agli altri paesi nordici). Eppure le risposte della maggioranza dei cittadini mostrano un orientamento molto chiaro: sono disposti a rinunciare per un po’ ad alcune libertà per tutelare la salute.
La prima domanda è su quali siano le conseguenze più temute del Covid: per il 49% degli intervistati a spaventare è soprattutto il rischio di prendere la malattia. I timori per la crisi economica nazionale sono invece in cima alla lista delle preoccupazioni per il 41%, percentuale uguale a quella di quanti paventano nuovi lutti tra gli amici. Il 37% poi teme soprattutto per l’economia globale, il 32% per la perdita di reddito. In coda il divieto di viaggi e il coprifuoco, effetti collaterali a cui pensa una minoranza. Ovviamente queste sono percentuali media ma i dati cambiano da Paese a a Paese. In Italia a prevalere, per il 53%, è la paura della crisi: si tratta della percentuale più alta nei nove Paesi considerati – ma il contagio segue a ruota (49%).
Segue la valutazione sul comportamento del proprio governo durante la pandemia: per il 52% avrebbe dovuto adottare più misure. In Italia lo pensa il 45% dei cittadini mentre in Spagna la quota sale al 61%, più che in Svezia (57%). Solo il 14% è convinto che le restrizioni avrebbero dovuto essere di meno. Il 23% ritiene che siano state sufficienti, quota che in Italia sale al 29%: è la percentuale più alta tra i nove Paesi considerati, a pari merito con la Svezia che però di misure ne ha adottate molto poche.
Passando alle risposte sull’impatto economico, l’aspetto che salta all’occhio è che la maggior parte degli intervistati (63% in media, 45% in Italia) riferisce che il proprio reddito non è calato con l’emergenza. Solo il 27% (39% in Italia, 48% in Spagna) dice invece di aver subito perdite. Il 10% “non sa”. Solo il 24% poi sta lavorando a orario ridotto, contro il 70% che non ha subito variazioni. Ed è ancora più bassa, 14%(18% in Italia), la percentuale di quanti si dichiarano “temporaneamente disoccupati”
Lo smart working per il 44% del campione ha peggiorato la qualità del lavoro, quota che sale al 49% in Italia e al 54% in Germania. Questo nonostante la situazione abbia permesso di avere più tempo per la famiglia. La vita in casa infatti è diventata più pesante per il 61% degli intervistati a causa della chiusura delle scuole e dei servizi di assistenza all’infanzia. La quota sale al 72% in Germania mentre in Italia è al 56%. A questo proposito in tutti gli Stati la maggioranza, il 53% (57% in Italia), dice che la pandemia ha influito negativamente sull’apprendimento dei ragazzi. La vita sociale poi è stata inevitabilmente interrotta: l’85% vede molto meno gli amici e in Italia la percentuale arriva al 92%, la più alta d’Europa.
Tutto questo ha avuto effetti anche psicologici, ma nei nove Paesi solo il 41% degli intervistati riferisce che la sua famiglia è “emotivamente stressata” dalla pandemia. La percentuale è più alta negli Stati del Sud Europa colpiti più pesantemente dalla prima ondata: 51% in Italia, 60% in Spagna.