Mi è capitato di incrociare Donato Bilancia solo una volta, in un bar di Sturla, sul lungomare genovese. Era il ’98 e lui era già un assassino consumato. Ovviamente ho realizzato che quell’uomo fosse Bilancia solo un paio d’anni dopo, osservando la sua immagine sui giornali, dopo la cattura, quando divenne il più temuto serial killer italiano. Nel bar, fra le altre, era appesa una sua foto: sorridente, abbronzato, Lacoste blu e sigaretta in mano. Il locale si chiamava Big Ben e ora non c’è più e non c’è più neppure lui, Walter, come Bilancia s’era ribattezzato schifando il nome di Donato. È morto di Covid il 16 dicembre scorso, a 69 anni, nel carcere Due Palazzi di Padova. Il virus non teme nessuno, neppure gli assassini seriali.

Potenza è la sua città originaria. Padre impiegato statale e madre casalinga, emigrati prima ad Asti e poi a Genova. Un papà che gli aveva segnato la vita. Quando, con la sua Fiat 600, portava tutti giù in Lucania per le vacanze costringeva l’allora bimbo Donato, minidotato e affetto da atrofia agli arti inferiori, ad abbassarsi gli slip davanti alle cuginette che lui chiamava “le tre mummie” per quanto fossero brutte e a mostrare quel poco che aveva fra le gambe fra gli ironici sorrisini delle ragazzine.

Soffriva pure di enuresi notturna, sino all’adolescenza, e anche la mamma non eccelleva in sensibilità quando appendeva sul balcone coram populo il suo materasso bagnato di pipì. È quanto lo stesso Bilancia raccontò allo psichiatra Vittorino Andreoli durante un incontro peritale per verificarne un eventuale incapacità psichica, dopo la condanna, il 12 aprile 2000: 13 ergastoli per 17 omicidi, 28 anni per tentato omicidio, rapina, porto d’armi abusivo più 6 per vilipendio di cadavere. L’appello non fu concesso.

Se Bilancia è stato arrestato lo si deve soprattutto a due persone. Una è la trans venezuelana Lorena, scampata alla morte per puro miracolo davanti a una villa isolata, non lontano da Novi Ligure dove il killer, nella notte del 23 marzo ’98, l’aveva condotta in auto per una marchetta e minacciata con la sua Smith&Wesson calibro 38 acquistata da un giocatore compulsivo rimasto a secco di soldi al casinò di Sanremo. Persero la vita, invece, i due guardiani giurati Randò e Guarillo che per caso videro l’auto e intimarono al conducente di scendere. Bilancia li uccise entrambi sotto gli occhi di Lorena, ferita e seminuda, e forse creduta morta dal killer. Fu lei, in ospedale, a descrivere il volto dell’assassino.

L’altro personaggio decisivo per la cattura è stato un uomo cui Bilancia aveva venduto una Mercedes senza redigere alcun passaggio di proprietà: al povero acquirente arrivò un sacco di multe da pagare, tanto da rivolgersi alla polizia. Multe prese nei luoghi in prossimità dei quali erano stati commessi parte degli omicidi. Così, il 6 maggio ’98, davanti all’ospedale genovese di San Martino, dove Bilancia era stato per farsi le lastre ai polmoni (accanito fumatore soffriva di asma, motivo anche della sua voce roca), venne arrestato mentre stava per montare sulla sua Vespa.

E pensare che aveva cominciato la carriera di delinquente con un furto di panettoni, era il tipo che a Genova si definiva “una legéra”, nulla di più. Poi, via via, furti più impegnativi, casseforti scassinate e… carcere. Fino a 46 anni campò così, il Bilancia, solo dopo emergono, via via, in lui, traumi angoscianti, mutazioni interiori che ne fanno un killer spietato, un uomo che odia le donne. Nel marzo ’87, alla stazione di Pegli, il fratello maggiore Michele, separato dalla moglie, s’era lanciato, con il figlioletto di 4 anni in braccio, sotto un Intercity.

Il giorno di Pasqua del ’98, il 12 aprile, un’infermiera, Elisabetta Zoppetti, viene freddata nella toilette, proprio di un Intercity e, sei giorni dopo, Mariangela Rubino, sempre su un Intercity, vien fatta inginocchiare in stile nazista, le spara in fronte e infine fatta oggetto, da morta, di un ulteriore gesto di sprezzo: l’eiaculazione sul suo corpo. A marzo, Bilancia aveva già ucciso Stela Truya, Ljudmyla Zubskova, Kristina Valla e Tessy Adodo, povere ragazze che si vendevano per strada.

Passa poi alle vendette nei confronti di due presunti amici che lo mettono in mezzo e gli svuotano il conto in una bisca di Bogliasco. Li ucciderà entrambi. Il primo sotto casa, vicino al Palazzo del Boia di piazza Caricamento. Sale con la scusa di vendergli alcuni orologi e ammazza lui e la giovane moglie. Il secondo lo uccide sempre a domicilio: lo fa mettere in mutande e lo soffoca dopo che il poveretto si è urinato addosso per la paura. Ormai senza freni e al verde a causa della sua ludopatia, rapina la gioielleria di due vecchietti, ammazzandoli. Ultima vittima, un cambista di Sanremo. Dopo la cattura, Bilancia confesserà tutti gli omicidi, sconvolgendo il pm Zucca.

Raccontavano i suoi amici che quando Bilancia arrivava al ristorante con una donna vistosa, quelle che era solito frequentare, esclamava ridendo: “Ma guarda quanto mangia ‘sta bagascia!”. Eppure in molti altri casi, affermano donne che lo hanno conosciuto, si comportava da vero signore, sempre elegante, cortese. Due facce, due personalità. Durante i 22 anni di galera, aveva conseguito un diploma in ragioneria e una laurea in Progettazione e gestione del turismo culturale. Almeno due i docufilm sul serial killer genovese: Città criminali (2006) andato in onda su La7 e Discovery Channel, di Maurizio Iannelli e Matilde D’Errico, e quello condotto da Marco Marra, Stelle Nere (2016), Rai Play. Oltre alla fiction di Michele Soavi Ultima pallottola (2005) su Canale 5.

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