La pandemia sta provocando una trasformazione pericolosa dei rapporti umani a tutti i livelli. Scivoliamo inconsapevoli verso quella che possiamo definire una “displaycrazia”. Si, perché il popolo dei social costituisce un agglomerato a sé, rinchiuso in un display senza tempo e spazio, differente dal popolo vero in carne ed ossa. Oggi quello che viene detto in un post entra in un vortice algoritmico che vive un tempo diverso da quello reale.

Se il governo si affida ai social per velocizzare e rendere immediate delle decisioni, rischia di entrare in una corrente comunicativa deleteria e pericolosa per chi deve vivere ed operare nel tempo reale. Entra nei display senza passare dalla testa e dal cuore. L’abolizione della ritualità democratica di conferenze stampa, comunicati, veline d’agenzia provoca una penuria di verifiche che a sua volta provoca un eccesso di spazio per smentite, correzioni, aggiustamenti impensabili per un sistema democratico, fondamentali per un assetto “displaycratico”.

Il consenso diventa allora il mero impulso al like o alla cliccata che abolisce il diritto alla riflessione e alla critica. Se i social servono al popolo? Sì, sicuramente sono uno strumento essenziale di questi tempi. Essi possono essere utili ai governanti? Decisamente no!

Per governare sono ancora indispensabili per la nostra democrazia cose strane e antiche, come i dibattiti, la bollinatura, la verifica, i passaggi in commissione, gli emendamenti, le ordinanze, decreti, insomma tutto l’armamentario che definiamo burocrazia, che se privato del tempo e dello spazio diventa appunto “displaycratico”.

L’uso della velocità per eliminare la burocrazia, la mera velocità e non l’ingegno, non è solo la velocizzazione digitale, che serve e aiuta se alimentata da creatività e buone idee, ma spesso diventa l’abuso dei mezzi social che se utilizzati per governare e diramare informazioni di governo rischiano di confondere popolo vero con “metapopolo social”, cioè quella massa informe collegata su display. Qui muore la democrazia, perché manca l’elemento essenziale per il suo compimento: il popolo vero.

Il passaggio antecedente, cioè la trasformazione semantica del termine popolo in “gente”, ha creato disturbi fenomenici di non poco conto, che hanno caratterizzato il ventennio dominato dalla comunicazione berlusconiana. E’ stata una picconatura al sistema democratico partito con una cassetta vhs (il suo messaggio alla nazione equivalente dei tweet trumpiani odierni). Ma in quell’epoca esisteva ancora il tempo, l’elemento argine ad ogni pericolosa deriva. Reggeva la suddivisione del giorno e della notte.

La “gente”, quale target virtuale, ancora rappresentava uno sciame identificabile e composito trasversalmente. Con l’avvento dell’uso dei social nell’arte del governare, sparisce anche la gente sostituita dagli utenti, i profili, gli account, che sono solo l’Rna, di quello che una volta definivamo popolo, il suo residuo fisso che si deposita invisibile. I politici spesso dicono: abbiamo perso il contatto con il popolo, con la realtà. Non è così.

La politica ha eliminato il popolo sostituendolo con altra cosa, con una massa di consumatori che reggono il pil e vivono principalmente sui social e nelle grandi adunate in grandi ipermercati. In un metaluogo chiamato “shopping” che può esistere ovunque e a qualunque ora. Un “iperpopolo” al servizio della “Displaycrazia”. Non si spiegherebbe altrimenti la corsa ad uscire delle scorse giornate, nonostante i rischi pandemici che incombono e i numeri di morte che registriamo. C’è una voglia incredibile di uscire da un display per entrare in un altro, costi quel che costi.

Il popolo vero muore, perché nella displaycrazia, utenti, seguaci, profili godono di una vita eterna nell’algoritmo in cui sono predestinati. Altro che Blade Runner, siamo oltre, molto oltre e soprattutto sarà complicato tornare indietro. Nel Display non entrano le immagini delle mense della Caritas sempre più affollate, l’odore delle case dei vecchi tanto care a Sorrentino, le rughe degli sguardi dei nostri anziani che cerchiamo di far viaggiare in ipad e cellulari per qualche minuto o per qualche spot.

Display gratis a Natale dalle grandi compagnie per rafforzare la displaycrazia che oggi ha soggiogato giovani e anziani tutti risucchiando tempo, spazio. Ciò che resta del popolo si misura in pollici e potrà godere dei servizi dell’assett displaycratico ancora per molto.

Ma alla fine il popolo tornerà. Ne siamo certi e con esso la democrazia, calda e lenta e con la puzza di inchiostro che imprime nell’anima della storia. Dobbiamo sperarlo! Oggi con la pandemia lo abbiamo capito: non sarà un microchip a salvarci, ma un vaccino, alla vecchia maniera, come sempre è accaduto, come la scienza può e sa fare.

Oggi a Trani, nella mia Città, nel museo delle macchine per scrivere, c’è stata la cerimonia di un annullo filatelico dedicato alla cara lettera 22. Udendo il ticchettio dei tasti mi sono commosso.

Autore quadro: Osvaldo Pillera

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