Non importa che si tratti di multinazionali, compagnie leader del settore o piccole e medie imprese. Su un punto tutti concordano: “Per il nostro settore il lockdown di marzo non è mai finito”. Perché il Covid ha fatto saltare del tutto la programmazione, cruciale nel lavoro quotidiano di chi organizza eventi business e congressi. Una filiera enorme che in Italia si fonda soprattutto su aziende di piccole e medie dimensioni generando un indotto di circa 65 miliardi di euro (dati Federcongressi-Università Cattolica), con un impatto diretto sul Pil di 36,2 miliardi di euro all’anno e 569mila addetti. Mentre i big resistono ripiegando sugli eventi virtuali, i piccoli sono in apnea e temono di non riuscire a ripartire quando sarà possibile farlo. Cioè, prevedono, non prima del 2022. “Quest’anno fatturerò appena 4.500 euro, contro i 55-60mila annuali dei periodi normali“, racconta Nicola Ucci, fondatore di PromoNu, ditta individuale bolognese. “Ho avuto i bonus da 600 euro e il contributo a fondo perduto da 1.000 euro, ma non bastano per tirare avanti. Ho finito tutti i miei risparmi e ho dovuto chiedere dei soldi a famiglia e amici. Se la situazione rimarrà questa, a malincuore dovrò chiudere. Tra noi piccoli il sentimento più diffuso è la paura di non farcela“.

“L’organizzazione dura mesi o anni”. Da febbraio tutto bloccato – Per organizzare un piccolo evento servono diverse settimane di preparazione, tra incontri con il cliente, logistica, collaborazione con società che offrono i diversi servizi necessari allo svolgimento del meeting e pratiche burocratiche. Per quelli più grandi i tempi si dilatano fino a mesi o addirittura anni. Così il decreto agosto che permetteva l’organizzazione di eventi a presenza ridotta e nel rispetto delle normative anti-Covid, presto annullato dalle nuove restrizioni introdotte a ottobre, non ha di fatto avuto alcun effetto positivo sul settore. Il risultato: eventi in presenza azzerati e pochi appuntamenti virtuali, che portano pochi vantaggi sia per i partecipanti che per gli sponsor, venendo a mancare l’incontro faccia a faccia che rappresenta il vero motore del settore. “Tutti i settori hanno subito un forte contraccolpo – spiega a Ilfattoquotidiano.it Patrizia Semprebene Buongiorno, vicepresidente di Aim Group, tra i leader del settore con un fatturato da 106,6 milioni di euro e 350 dipendenti, di cui 270 circa in Italia – Ma noi siamo diversi dagli esercenti. Stando chiusi, loro devono combattere contro i costi di gestione, i prodotti deperibili, la salvaguardia del personale, ma una volta che le restrizioni si allentano una piccola ripresa avviene immediatamente. Per noi non è così, per organizzare un evento servono mesi, a volte anni, senza contare che la situazione di incertezza ha di fatto congelato la domanda. Dico solo che in questo periodo stiamo provvedendo alla cancellazione degli eventi di febbraio”.

Perdite tra l’80 e il 90% – Non a caso, uno studio pubblicato a febbraio dall’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Aseri) in collaborazione con Federcongressi stimava una perdita del 70% degli eventi in caso di lockdown nazionale. Ma la maggior parte delle aziende sentite da Ilfattoquotidiano.it, a novembre, spiegano che dall’analisi dei loro fatturati emergono percentuali tra l’80% e il 90%. E proprio la programmazione a lungo termine rischia di protrarre la crisi del settore per tutto il 2021: “Il prossimo anno sarà altrettanto pesante – prevede Giulio Ferratini, presidente di Centro Congressi Internazionale, azienda di medie dimensioni con 20 addetti – La programmazione per eventi come quelli che organizziamo noi è di almeno 6-8 mesi, quindi prevediamo che, se le cose inizieranno a migliorare già nei primi mesi del 2021, potremo ripartire con i primi congressi in presenza solo agli inizi del 2022. Questo per noi, oltre a una grave perdita economica, ha significato anche un’importante perdita di risorse umane. All’inizio della crisi avevo dodici dipendenti a tempo indeterminato e otto a tempo determinato. Con la situazione che si è venuta a creare non ho potuto rinnovare nessuno di quegli otto”.

Il programma di sopravvivenza basato sugli eventi virtuali – Così, fino al momento in cui si arriverà a un’effettiva ripartenza, le aziende hanno messo in campo tutte le loro risorse per attuare quello che Semprebene Buongiorno definisce un “programma di sopravvivenza”. “Le riaperture a singhiozzo hanno generato eventi quasi nulli per noi – spiega a Ilfattoquotidiano.it Armando Mastrapasqua, direttore eventi per l’Italia di Carlson Wagonlit Travel, multinazionale americana che conta 18mila dipendenti in tutto il mondo – Le prospettive per il 2021 sono tragiche. Quindi ci siamo mossi su diversi piani paralleli. Intanto la tutela dei nostri dipendenti, passando a un’organizzazione di lavoro 100% in smartworking, nonostante le difficoltà che questo comporta in un settore come il nostro, fatto di lavoro di squadra e continuo scambio di informazioni. Dal punto di vista dell’offerta, invece, abbiamo promosso una serie di eventi ibridi o virtuali che prevedono l’interazione di partecipanti, una regia, interazioni 3D e una piattaforma di self-booking per gli eventi più piccoli. Ma il nostro principale investimento per il futuro sarà sicuramente sul ritorno agli incontri in presenza che, però, prevedranno il rispetto di standard di sicurezza ben più alti, tenendo conto del rischio epidemico-pandemico già introdotto in questi mesi”.

Anche su questo punto le aziende sono tutte d’accordo: il modo di organizzare e partecipare agli eventi cambierà inevitabilmente, ma pensare di sorpassare l’idea del congresso in presenza è completamente fuori dalla realtà. “Crediamo che ci sarà un progressivo ritorno agli eventi face-to-face – continua Mastrapasqua – Lo dicono gli studi perché gli investimenti delle aziende negli eventi hanno un ritorno importante. Ci sarà anche una gran voglia, nel settore, di un ritorno alle relazioni interpersonali. Ma avverrà tutto in maniera progressiva, con la gestione soprattutto di eventi digitali e ibridi e introducendo norme più stringenti“. Il timore però, spiega Ferratini, è quello “di assistere a una desertificazione del settore, un calo del numero di operatori che non farà bene al mercato italiano. Penso soprattutto alle Pmi che rappresentano una fetta enorme. Questa parte di mercato che non verrà rioccupata rischia di finire all’estero”.

Ristori inferiori ad altri settori ugualmente colpiti: “E alcune attività rimangono fuori – In questi mesi di blocco totale alle attività congressuali, il governo ha predisposto dei piani di sostegno al settore. Sono stati sospesi i versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria e sono arrivati ristori a fondo perduto e credito d’imposta sugli affitti. Ma solo per alcuni codici Ateco. Il problema, spiegano a Ilfattoquotidiano.it da Federcongressi, è che molte aziende del settore sono rimaste escluse: “Corsi di formazione e aggiornamento professionale, pubbliche relazioni e comunicazione, altri servizi di sostegno alle imprese, altre attività professionali, assistenza e consulenza professionale, scientifica e tecnica, agenzie di pubblicità. Tutti questi settori, che fanno riferimento ad altrettanti codici Ateco si riferiscono ad aziende che operano nell’organizzazione di eventi, convegni e congressi ma non appartengono ai codici individuati dal governo. Al pari di quelli inclusi, hanno subito perdite ingenti e sono stati costretti al fermo totale delle loro attività. Discriminarli negando l’accesso al ristoro ha effetti devastanti”.

In aggiunta a questi interventi, il ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo a ottobre ha diffuso un avviso pubblico per l’assegnazione di contributi per il ristoro degli operatori nel settore Fiere e Congressi da 20 milioni di euro. E il Decreto Ristori quater ha previsto un fondo a sostegno delle aziende del settore da 350 milioni di euro. Ma Federcongressi fa notare che “il settore è ristorato al 200% e non al 400% come avviene invece per le discoteche, settore che è rimasto sostanzialmente chiuso per lo stesso periodo di quello degli eventi e congressi”.

“Fatturato sceso a 4.500 euro dai 60mila degli anni normali” – Se le grandi compagnie hanno la forza di resistere e investire in un cambiamento inevitabile, seppur rapido e inatteso, chi rischia di pagare il prezzo più alto sono proprio le aziende più piccole che da una parte possono contare su una struttura più snella, ma dall’altra non hanno la forza economica per sopravvivere a un’apnea così lunga. Nicola Ucci è nel settore da 30 anni ed è il fondatore di PromoNu, ditta individuale bolognese specializzata nell’organizzazione eventi nel campo della promozione turistica. A Ilfattoquotidiano.it disegna un quadro ben più cupo di quello delle concorrenti più grandi: “Siamo fermi da febbraio-marzo – dice – A inizio anno avevo in programma otto manifestazioni, ma sono riuscito a portarne a termine solo una a inizio febbraio. A settembre abbiamo sperato nella ripresa, così ne ho messe in programma altre sei, ma se ne sono tenute solo due molto piccole. Sul piano economico è stato devastante. Quest’anno fatturerò appena 4.500 euro, contro i 55-60mila annuali dei periodi normali. Ho usufruito dei bonus da 600 euro e del contributo a fondo perduto da 1.000 euro, ma non bastano per tirare avanti. Ho finito tutti i miei risparmi e ho dovuto chiedere dei soldi a famiglia e amici“.

Una situazione in cui investire e innovare è proibitivo. Ucci si è limitato a “mantenere le relazioni con i clienti, per tenere vivi i contatti. Ho organizzato alcuni webinar e implementato la mia attività di consulenza nel settore turistico, altro campo, però, in forte crisi”. Alcuni cambiamenti, spiega, potrebbero anche portare a dei miglioramenti dell’attività in futuro, “ma il problema adesso è la sopravvivenza. Un’azienda come questa, se hai un po’ di risparmi da parte, può sopravvivere in queste condizioni per un anno, altrimenti crolli. Se la situazione rimarrà questa, a malincuore dovrò chiudere, chiedere il reddito di cittadinanza e aspettare il poco tempo che mi manca per la pensione. Ma non voglio che vada a finire così”.

Twitter: @GianniRosini

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