Un Patrick diverso da tutte le altre rare occasioni in cui la famiglia gli ha fatto visita, “esausto e stufo”, caduto in uno stato di depressione che ormai gli impedisce di uscire dalla propria cella anche nelle ore d’aria che gli vengono concesse. Il racconto della madre di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato il 7 febbraio scorso all’aeroporto del Cairo, racconta di un crollo mentale del figlio che, dopo ormai più di dieci mesi di prigionia nel carcere di Tora, soffre per lo spreco di tempo in relazione ai suoi progetti accademici, con le ultime sentenze di rinnovo della detenzione che, dopo un’iniziale speranza, hanno dato l’ultima mazzata al morale del giovane.
“Sono fisicamente e mentalmente esausto, non ne posso più di stare qui e mi deprimo ad ogni tappa importante dell’anno accademico, mentre sono qui invece che con i miei amici a Bologna”, sono state le prime parole di Patrick riportate dalla madre che lo ha visitato il 19 dicembre all’interno del penitenziario della capitale egiziana, nella sezione Scorpion dedicata ai prigionieri di coscienza. “Durante la visita, Patrick non era affatto se stesso, era diverso rispetto a qualsiasi altra visita e ci ha letteralmente spezzato il cuore“, ha continuato la famiglia nella sua dichiarazione aggiungendo che “ci ha sconvolto sapere che è diventato talmente depresso da dire ‘raramente esco dalla mia cella durante il giorno, perché non riesco a capire perché sono qui e non voglio affrontare la realtà per cui posso andare a camminare su e giù nel raggio di pochi metri, per poi essere rinchiuso di nuovo in una cella ancora più piccola’”.
Così la famiglia ha rinnovato il proprio appello per la scarcerazione del figlio, accusato di aver pubblicato notizie false con l’intento di disturbare la pace sociale, di aver incitato proteste contro l’autorità pubblica, di aver sostenuto il rovesciamento dello stato egiziano, di aver usato i social network per minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica e di aver istigato alla violenza e al terrorismo. Tutto con un post su Facebook. “Chiediamo a ogni persona responsabile e a chi prende le decisioni di rilasciare immediatamente Patrick. Restituiteci nostro figlio e restituiteci tutte le nostre vite”, hanno concluso.