di Agostina Marchese

Circa 500 maiali di specie autoctona siciliana sono stati uccisi. Una condanna a morte, senza “se” e senza “ma”, di centinaia di animali che hanno avuto la sola colpa di appartenere ad un allevamento ritenuto abusivo. Da sette mesi si assiste a Salemi, in provincia di Trapani, ad uno scontro sociale, politico, normativo e sanitario, nel quale l’ultima cosa, di cui si tiene conto, è il benessere dei maiali come esseri senzienti e del loro diritto ad esistere.

Mesi in cui ci si è dimenati tra chi ha il “dovere” e chi la “responsabilità”. Mesi di interrogativi e provvedimenti tra il proprietario degli animali e il Comune prima, una lunga serie di istituzioni dopo, quali la Prefettura di Trapani, il Dipartimento veterinario dell’Asp, le Forze dell’Ordine, il Corpo forestale regionale e, ora, la Procura di Marsala. Della vicenda si sera interessato anche l’animalista Enrico Rizzi.

Lo stato brado in cui, per svariati motivi, si sono ritrovati i maiali neri, (che ha anche arrecato danni sul piano agricolo locale) ha suscitato reazioni ed iniziative, illecite ed incontrollabili, da parte dei cittadini causando un lento sterminio. Ad oggi, sono stati uccisi, da mano privata, circa 500 suini su 550 in una preoccupante anarchia “sparatoria”.

Dopo un continuo braccio di ferro tra enti e proprietario, il mese scorso, quando i superstiti erano circa 250, il Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza ha comunicato la soluzione perentoria: la soppressione. Nessuno si è opposto. Non possiamo nemmeno auspicare una protesta simile a quella avvenuta a Cisternino quando, a seguito di un ordine di abbattimento di 23 maiali, in quel caso anche infetti, disposto dalla Procura, il senatore Lello Ciampolillo ha evitato l’uccisione, prima chiedendo l’adozione dei maiali come animali da compagnia e, poi, facendosi affidare il terreno per dichiararlo residenza parlamentare.

A Salemi sta per avvenire l’ennesimo abberrante abbattimento, consolidato sul territorio nazionale (vedi i cinghiali di Roma, l’orso di Monte Peller) decretato da Enti che hanno una visione semplicistica del problema e che non vogliono cercare soluzioni alternative. Privi di sensi di colpa e, da burocrati con una coscienza assuefatta dalla “regola”, abbiamo spento ogni senso critico abbandonandoci al pressappochismo e all’ipocrisia auspicando, da un lato un pianeta migliore e inneggiando sui social ad un maggiore rispetto per la vita, e, dall’altro, permettendo un’ingiustizia da mano umana senza alcun principio etico.

Per uno strano, quanto raro destino, questi maiali si sono salvati dall’essere carne da banchetto ma, oggi, rischiano comunque la vita perché reputati un grattacapo. In questi mesi, l’unico problema, è stato risolvere un’emergenza, creata essa stessa dall’uomo, senza tenere conto della dignità degli stessi animali.

Oggi, non sembra possibile immetterli in un parco, nel loro habitat naturale, preferendo lasciarli vagabondare tra le campagne, a devastare i seminati, a essere vittime di incidenti o del primo bracconiere di turno che non esita, come avvenuto, ad uccidere la madre dei cuccioli o i cuccioli stessi.

Il Nero Siciliano è attualmente una razza ufficialmente riconosciuta e dotata di registro anagrafico con poche scrofe riproduttrici in fase di allevamento, il che ha portato all’inclusione della razza nella lista del F.a.o. delle Nazioni Unite come razza autoctona in via d’estinzione. I tempi sono più che maturi affinché tutte le Istituzioni, coinvolte nella vicenda, e Pm responsabile, valutino una nuova direzione, opposta da quelle finora percorse.

È il momento adatto per porsi, come esempio a livello nazionale, dando inizio a nuove buone pratiche per la salvaguardia e il rispetto degli animali, considerato che, a volte, pensando di fare del “bene”, si finanziano le peggiori delle azioni, soprattutto a causa del messaggio psicologico che, indirettamente, si inoltra ai cittadini, improntato su un atteggiamento assolutistico fatto di barbarie e violenza.

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