Dove non arriva lo schema giusto, dove non arriva la sostituzione azzeccata, dove non arriva la clamorosa botta di culo, ci arriva “la belvaggine”. Questo almeno secondo (mister) Nedo Sonetti: una colonna, anzi il colonnato intero di Piazza San Pietro; una sequoia, pardon tutto il Sequoia National Park della California. Nave mercantile da cinquanta tonnellate salpata da Piombino nel 1973, attraccata poi su 25 panchine per 42 anni di carriera. “Volete che Turkilmaz giochi più vicino alla porta, ma se resta piantato in area e non si muove rischia di far la fine di Taralla, come si dice al mio paese. Taralla che morì senza assaggialla”, spiegò a Bologna nel 1991. “La televisione è sempre in fuorigioco, queste telecamere che vanno alla ricerca degli ignudi negli spogliatoi, con questi giocatori che li vedono e restano imbalsamati come dei fagiani”, sentenziò quasi a fine carriera nel 2011 su Avvenire.

Insomma il buon Nedo, ruspante e rustico come un buttero della Maremma, uno che per toglierlo dal centro della difesa nella Reggina tra il 1967 e il 1972 chiamavi una gru dal cantiere del ponte sullo stretto, uno che per misurargli il collo e cucirgli la tuta arruolavi tutta l’industria tessile del distretto di Prato, oggi fa l’opinionista a Italia 7 Toscana presso Platinum Calcio – Domenica Bestiale (tra bestie e belve ci si intende). Una posata trasmissione di commento alle partite in diretta, dei fatti e fattacci della Fiorentina, che adotta un impianto luci appoggiato per terra e puntato verso l’alto, un fondale unico da Star Trek, e un piano americano fisso per inquadrare conduttore e ospiti in studio mentre sono seduti. La cosiddetta “inquadratura pacco”. Ovvero la scrivania inizia appena sotto le ginocchia dei conduttori rivelando un enorme dote, per chi ce l’ha, come mamma e papà li hanno fatti. A questo giro il conduttore, di cui non conosciamo il nome ma siamo sicuri non sia un avvocato (anche se fidi spettatori di Domenica Bestiale ci dicono che esista un legale come ospite anche qui ndr) ha voluto celare gelosamente le proprie dimensioni facendo scivolare una lunga cravatta bordeaux fin quasi la cantina di Platinum Calcio.

Al suo fianco non bada ad esibizionismo tal Gianni, l’Iggy Pop del calcio viola, con addosso un jeans attillato sul punto giusto per mostrare quello che Nanni Loy definì Pacco, doppio pacco e contropaccotto. Il 79enne Sonetti, invece, rimane sul sobrio. Vuoi per l’età. Vuoi perché gli attributi li ha dovuti usare per cinquant’anni e poi magari, capita, si sgonfiano. I motti di spirito, invece, rimangono. E belli folklor-dadaisti. “Se in area c’è quell’anima beata di Vlahovic…”, fa stretching Nedo. “Per attaccare ci vogliono ragazzi che mordano l’erba”, palleggia. “Non voglio entrare nel discorso sul sottile”, sta sul capziosetto. “Non deve guardare il bruscolo nell’occhio e nemmeno la trave”, infine trionfa. Sonetti se ne sta lì all’angolo del terzetto. Attende sempre che gli altri lo venerino. E mister di qui. E mister di là. E mister di su. E mister di giù. “Amici che ci sono lassù a Bergamo che mi telefonano, mi dicono: l’ambiente non è più come prima”, va di confidenze da gola profonda. Ma sotto sotto a quel vestito elegante, altro che niente, tutto da ufficio del primo piano di Banca Mediolanum (“è mia moglie che mi manda in giro così”) c’è sempre “l’animale che mi porto dentro”. E allora arriva il fraseggio che stordisce. L’urlo del Nedo dalla panchina. Il fischiaccio trapattoniano che svelle i distinti. “Ti do una menopausa (vero ndr): c’è gente che a 20 anni ha già le stigmate del fuoriclasse”. “Dicevo ai giocatori: fate conto che la porta sia una bella fanciulla. E loro si buttavano a capofitto”. “Prandelli è mio allievo, gli voglio bene, ma se fai la difesa a tre gli esterni devono essere delle belve!”.

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