Lo hanno osservato un po’ tutti a proposito della verifica di governo: inattendibile è l’attore protagonista (Matteo Renzi), censurabile il metodo, oscura la prospettiva. Nell’ordine: il campione del leaderismo e della disintermediazione che contesta al premier di bypassare le rappresentanze sociali e parlamentari; le polemiche sui giornali e in Parlamento anziché una leale discussione dentro la maggioranza di cui farebbe parte; la minaccia di una scriteriata crisi al buio nel pieno di una drammatica emergenza.
Il Foglio, la testata più simpatetica verso Italia Viva, ha titolato: “Il mistero di una crisi incomprensibile… è ora di farsi capire”. Ma, a seguire, fa intendere di avere capito benissimo: “Il premier è accusato dai suoi avversari di non voler esercitare a fondo i suoi poteri e di volere però esercitare diabolicamente anche i pieni poteri”. In realtà, è la conclusione, lo si vorrebbe come al tempo dell’esecutivo giallo-vede: “Un po’ meno premier e un po’ più vice dei suoi vice”.
Diradando il fumo dei tatticismi e dell’ipocrisia, effettivamente è ciò che si è capito. Del resto, la verifica prende le mosse esattamente così: una richiesta di rimpasto e/o di ingresso nel governo dei capi partito della maggioranza. Un malcelato commissariamento di Giuseppe Conte. Lo chiese Renzi, ma lo chiesero anche dirigenti del Pd: Bettini, Orlando, Marcucci. Naturalmente, come no?, al fine di rafforzare il governo… Bersagliandolo senza tregua per settimane sui media con critiche, come si è notato, spesso pretestuose e strumentali.
Lo si evince anche dai dettagli. Penso all’indecente balletto degli incontri fissati e disertati a dispetto. Perché una ministra, Teresa Bellanova, era impegnata altrove. Come se fosse stato un imprevisto. Si è visto quanto fosse essenziale la presenza di quell’autorevolissima ministra nella mezz’ora in cui la delegazione IV ha incontrato Conte: giusto il tempo per consegnargli una lettera già pubblica per poi, immediatamente, congedarsi. Già perché, come si sa, a Renzi e ai suoi sodali premono non i posti ma i contenuti. Figurarsi: i Contenuti, con la maiuscola! Diciannove punti. Alcuni studiatamente irricevibili. Del resto, fossero tre, quattro, cinque significativi sarebbero plausibili. Diciannove è come gettare la palla in tribuna. Sta a significare che il problema è un altro. Esattamente quello che ha compreso Il Foglio.
Per non essere da meno, giocando di nuovo di rimessa, il Pd ha pensato bene di proporne venticinque di punti programmatici. Come a rammentare che i pesi (le quote?) vanno rispettati. Certo, come sempre, nei contenuti non negli organigrammi… Anche la tempistica renziana non è casuale. Qualcuno, ingenuamente, considerando la congiuntura drammatica, avrebbe immaginato fosse saggio chiudere appena possibile la verifica e l’incertezza, per occuparsi degli italiani. Nossignori: una botta e via. Trenta minuti e tutto è stato rinviato ai primi di gennaio, così da reiterare il tormentone, così da stare altre settimane sui giornali.
Partiti inesistenti o evanescenti nella società vivono nei (e dei) titoli dei tg. Con l’ex premier che ostenta il suo distacco dalle poltrone e proclama la disponibilità delle “sue” ministre a fare un passo indietro. Rivelando una concezione singolare dell’autonomia personale e istituzionale di esse.
Mi ha colpito che persino un pur bravo deputato del Pd che sta nel Copasir (la delega al controllo sui Servizi di sicurezza oggi detenuta dal premier, ma appetita dai partiti, è tra le questioni aperte oggetto della verifica) abbia rivendicato quella postazione per il Pd con l’argomento che spetterebbe ad esso perché il Pd sarebbe “il partito delle istituzioni”. Un ossimoro – partito è parte, le istituzioni sono di tutti – e tuttavia rivelativo in generale di una curiosa cultura delle istituzioni e, più specificamente, del vero, crudo oggetto della verifica: una questione di potere sollevata dai partiti, irriducibili al riguardo.
Notizia dell’ultima ora. I diciannove punti renziani sono saliti a venti: vogliono discutere dei vertici Rai, il bottino di sempre delle lotte di potere tra i partiti. A occhio, non esattamente la questione che occupa il primo posto nelle ansie degli italiani.