Scienza

Vaccino, “non basta dire ‘partiamo dagli anziani’. Per ridurre i casi si stia pronti a passare ai giovani”. C’è un modello matematico che fissa le priorità

Un gruppo di studiosi offre uno strumento per trovare il migliore equilibrio tra riduzione dei decessi e contenimento della diffusione. Soprattutto nel caso in cui una terza ondata dovesse rendere necessario un cambio di priorità per alleggerire gli ospedali. Ma per poter intervenire rapidamente, l'Italia deve affrontare una volta per tutte la scarsa capacità di raccogliere i dati epidemici (a partire dall'app Immuni). Una sfida che determinerà anche il successo della campagna vaccinale

Le risorse limitate vanno razionate e così sarà per i vaccini, almeno per tutta la prima metà del 2021. Sono in arrivo in Italia a partire dal 27 dicembre come nel resto d’Europa, ma non subito per tutti, anche per motivi logistici. Scegliere la strategia per la campagna vaccinale, dunque, non è scontato né privo di conseguenze. Partendo dagli anziani – è il criterio dell’Italia come di altri paesi Ue – si punta a contenere innanzitutto la mortalità. Se immunizziamo i giovani e le fasce intermedie della popolazione con un vaccino che riduce la capacità di infettare avremo invece una minore diffusione del virus. È bene chiarirlo: non si può avere tutto.

La buona notizia è che una mediazione tra i due obiettivi è da oggi possibile, grazie allo studio di alcuni scienziati italiani che hanno elaborato un modello matematico in grado di valutare il criterio di distribuzione dei vaccini, di prevederne le conseguenze e di ottimizzarne l’efficacia. Opportunità preziosa, soprattutto se la campagna vaccinale di massa dovesse coincidere con la terza ondata, dove ancora una volta, per limitare i decessi sarà fondamentale anche contenere i contagi. Ma c’è un ma: i modelli vanno implementati con i dati che siamo capaci di raccogliere. “Le percentuali dell’app Immuni restano basse e anche il numero dei tamponi cala invece di aumentare”, avverte Giovanni Sebastiani, matematico del CNR tra gli autori dello studio.

Le prime dosi di vaccino toccheranno al personale degli ospedali e alle case di riposo, ospiti compresi. Poi a chi svolge servizi essenziali, dalle forze dell’ordine alla scuola, dal trasporto pubblico alle carceri. Solo allora inizierà la vera e propria campagna vaccinale di massa. Quando? Presto per dirlo. Non fissa una data nemmeno il commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri: “Non lo sappiamo, forse entro il primo trimestre del 2021”, ha dichiarato pochi giorni fa, quando ancora non sapevamo del ritardo dei vaccini Sanofi: quaranta milioni di dosi, un quinto dei vaccini previsti per quest’anno, slittate al 2022. Quello che invece conosciamo è il criterio scelto per distribuirli alla popolazione: “Partiremo dagli 11 milioni di italiani che hanno più di sessant’anni, a cominciare dai più anziani in giù”, ha spiegato Arcuri, declinando le prime linee guida approvate dal Parlamento lo scorso 2 dicembre. Una strategia tutta da implementare, scrive lo stesso ministero della Salute, in attesa di testare sul campo l’efficacia dei vaccini.

Il confronto con gli altri paesi aiuta a farsi un’idea dei possibili sviluppi. “Si prevede di iniziare dalle case di cura e dagli ultraottantenni, a partire dal 27 dicembre”, ha annunciato il ministro federale della Sanità tedesca, Jens Spahn, nel presentare un piano vaccinale che divide la popolazione in quattro categorie di priorità. Al netto di Rsa, sanitari e malati a rischio, chi ha più di ottant’anni appartiene alla prima, chi più di 70 alla seconda, mentre nella terza troviamo persone di età diversa selezionate per patologie pregresse o particolari attività professionali. Tutti gli under 60 che non presentano condizioni particolari rientrano nella quarta categoria. Il Regno Unito, già partito con il vaccino Pfizer-Biontech, ha diviso in nove gruppi di priorità un quarto della popolazione, quello più anziano e a rischio. E così in Francia, dove in testa al piano vaccinale ci sono gli over 75 e gli over 65 con altre patologie a rischio, e la vaccinazione su larga scala è prevista tra i mesi di aprile e giugno.

Tutti d’accordo, insomma. Ma è la soluzione migliore? “Dipende da molti fattori, anche da come evolve l’epidemia, dalla fase in cui ci troviamo”, ragiona Giovanni Sebastiani, matematico del CNR all’Istituto per le Applicazioni del Calcolo ‘Mauro Picone’ e autore di uno studio sulla distribuzione dei vaccini insieme a Giorgio Palù, virologo dell’università di Padova e neopresidente di Aifa, Agenzia italiana del farmaco. Appena pubblicato online dalla rivista internazionale ‘Vaccines, lo studio ha utilizzato i dati raccolti dal Veneto nella prima ondata e messo a punto un modello matematico. “Un piano vaccinale è una scelta politica”, premette Sebastiani. “Il nostro algoritmo offre al decisore la possibilità di ottimizzare quella scelta”. Proviamo a spiegare: “Una volta definito il criterio, come ad esempio la priorità agli anziani per ridurre la mortalità, il modello mi indicherà il migliore equilibrio rispetto alle altre esigenze, come quella di ridurre la diffusione, che rimane legata a fasce più giovani, in età da lavoro e socialmente attive”. Insomma, non basta dire “partiamo dai più anziani”. Non se l’obiettivo è quello di operare scelte coerenti con i dati epidemici a nostra disposizione, l’unica possibilità di limitare i rischi.

Sebastiani riparte dal confronto tra gli ultimi sessanta giorni e i due mesi centrali del lockdown di primavera, dall’8 marzo al 6 maggio. Il numero di morti è identico: 29.430 i decessi per la seconda ondata, 29.451 per la prima. “Appena 21 morti in meno, possiamo dire di essere migliorati nella lotta al virus?”, si domanda Sebastiani. Meglio di una risposta è farsi altre domande: quali anziani vaccinare per primi? A quali patologie a rischio connettere la priorità? Quale strategia ci permette di sgravare maggiormente le strutture ospedaliere? Quale di massimizzare contemporaneamente e per quanto possibile il contenimento dei contagi? Le risposte può darle il modello elaborato, già online e a disposizione di chi vorrà programmarlo e implementarlo. “Inserendo i dati, a partire da quelli epidemiologici, il decisore può interrogare il modello in base al criterio prescelto”. Adottare quello che il ricercatore del CNR definisce “approccio quantitativo” significa essere pronti a ricalibrare la strategia a seconda del momento.

Un’ipotesi che l’esecutivo mette in conto. “L’Italia si trova nella fase di trasmissione sostenuta, per cui le indicazioni iniziali sono riferite a tale situazione epidemiologica”, si legge nel piano strategico del governo, che per ora si concentra sulla “riduzione diretta della morbilità e della mortalità, nonché sul mantenimento dei servizi essenziali più critici”. Ma subito dopo precisa: “Qualora uno o più vaccini si mostrino in grado di prevenire l’infezione, si focalizzerà l’attenzione anche sulla riduzione della trasmissione, al fine di ridurre ulteriormente il carico di malattia e le conseguenze sociali ed economiche”. Una sfida che rimette al centro la nostra scarsa capacità di raccolta e utilizzo dei dati epidemiologici. Ben lontani dalle decine di milioni di download che ne avrebbero determinato l’efficacia, la app Immuni ha faticato a raggiungere i dieci milioni di utenti. Intanto cala anche il numero dei tamponi, passati da una media di 215mila al giorno nella settimana tra il 12 e il 18 novembre ai 155mila della seconda settimana di dicembre. “Dobbiamo riprendere il controllo del tracciamento aumentando il numero di tamponi, testando periodicamente a campione classi di soggetti a grande rischio di contagio”, sostiene Sebastiani. “Insieme all’uso dei dispositivi di protezione e a tempestivi ma più sostenibili lockdown intermittenti, dove 7-10 giorni di misure strette sono intervallati da 2-3 mesi di rilascio significativo, il tracciamento sarà il migliore alleato di un’efficace campagna vaccinale”