L’interporto di Frosinone doveva essere il polo logistico di riferimento del centro Italia per lo smistamento e lo scambio di merci, ma dopo oltre trent’anni dall’annuncio in pompa magna il risultato è ben diverso: circa 10 milioni di soldi pubblici buttati, cause di risarcimento per i terreni espropriati che fioccano, una cattedrale nel deserto composta dallo scheletro di un capannone industriale mai terminato e rifiuti di ogni genere, anche di amianto, in un’area di ben 62 ettari ormai abbandonata. Una debacle certificata ora dal Tribunale di Frosinone che ha dichiarato il fallimento della Sif, la Società Interportuale Frosinone a capitale misto pubblico-privato, che avrebbe dovuto costruire e gestire l’opera. La Sif Spa, con un capitale sociale di oltre 6 milioni e 300 mila euro, è nata nel 1991, ancora in piena Prima Repubblica, e aveva come socio di maggioranza la provincia di Frosinone con il 64% delle quote. A seguire c’erano il Comune di Frosinone con il 10,3%, il Comune di Ferentino (9,3%), la Camera di Commercio di Frosinone (9,8%), l’Asi, Consorzio per lo Sviluppo Industriale Frosinone (2,7%) e numerose aziende private con partecipazioni minoritarie.
Il posizionamento dell’interporto era previsto tra l’uscita del casello autostradale e la ferrovia a Frosinone. Prevedeva un’area integrata di oltre 600mila metri quadri con raccordi ferroviari e strutture con magazzini e piazzali di stoccaggio delle merci, una piattaforma per l’interscambio ferro-gomma al servizio di tutto il centro Italia. Un piccolo spiraglio per evitare il fallimento si era aperto cinque anni fa quando era stata individuata un’azienda per completare e gestire l’opera ma all’assemblea dei soci, convocata per discutere di questa possibilità, non si presentò nessuno, neanche la provincia di Frosinone, socio di maggioranza. Questa vicenda determinò le dimissioni dell’allora presidente della Sif, Giuseppe Galloni, e dell’intero consiglio di amministrazione.
Quella convocazione era l’ultima chance per recuperare una situazione ormai compromessa che però non è stata colta dalle istituzioni o quantomeno valutata. “Avevamo indetto l’assemblea dei soci – spiega Giuseppe Galloni – proprio per stabilire se prendere in considerazione o meno questa possibilità, visto che ormai la situazione era già fortemente pregiudicata. Ma nel momento in cui neanche il socio di maggioranza si è presentato, abbiamo deciso di dimetterci. Da quel giorno non ho ricevuto alcuna telefonata né dal commissario della Sif sopravvenuto dopo le dimissioni, né dal presidente della provincia. Da quel momento – sottolinea Galloni – lei è la prima persona che mi chiama per questa vicenda”.
Secondo l’Asi di Frosinone, “anche il progetto tecnico dell’opera è stato inadeguato perché concepito negli anni ’90 quando le condizioni di trasporto ed economiche erano differenti. Anche il capannone industriale realizzato non era funzionale allo scopo perché troppo basso: le aziende di logistica e movimentazione merci hanno necessità di avere spazi anche in altezza. Ci sono stati errori di valutazione inziali che hanno influito non poco sul fallimento”.
“Per i possessori delle aree espropriate – prosegue l’ex presidente della Sif – c’è stata anche una doppia beffa. I terreni sottratti hanno avuto il cambio di destinazione d’uso da agricolo a industriale ma i cittadini sono rimasti proprietari di questi terreni perché gli acquisti non sono mai stati formalizzati. Quindi si sono ritrovati a dover pagare l’Imu per anni per delle aree che però non potevano più utilizzare, terreni che prima non erano soggetti a questa tassa perché adibiti ad uso agricolo”.
Oltre ai circa cinque milioni per mantenere la Sif e agli altri cinque per costruire il capannone industriale ed altre opere correlate mai terminate, ci sono le sentenze del Tar che hanno dato e stanno dando ragione ai cittadini ai quali sono stati espropriati i terreni per costruire l’interporto. Nel 2015 il Comune di Frosinone ha dovuto sborsare circa un milione e mezzo di euro per risarcire i cittadini che hanno subito l’esproprio del terreno. Ilfattoquotidiano.it ha provato per due giorni a contattare il sindaco Nicola Ottaviani per avere aggiornamenti su eventuali altre cause perse al Tar ma non ha ottenuto alcun riscontro. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto anche ad Antonio Pompeo, presidente della provincia di Frosinone, azionista di maggioranza della Sif, nonché sindaco di Ferentino, comune ciociaro detentore del 9,3% delle quote azionarie, alcuni chiarimenti sulla vicenda e cosa intendesse fare per l’area ormai abbandonata e piena di rifiuti, ma non ha ottenuto alcuna risposta.