C’è Vincenzo Santapaola, nipote del boss catanese Nitto, condannato già in via definitiva per mafia, alla quale si è aggiunta soltanto martedì scorso una nuova condanna in primo grado a 12 anni, sempre per mafia. E poi c’è Francesco Bontempo Scavo, appartenente a una delle famiglie mafiose più note sui Nebrodi che aveva subito la confisca della sua azienda agricola dopo una condanna definitiva per mafia nel maxi processo Mare Nostrum. Entrambi percepivano il reddito di cittadinanza. Così come un altro condannato, Salvatore Sparacio, che durante il primo lockdown aveva accompagnato il corteo funebre del padre violando le restrizioni (il video fece il giro del web).
Sparacio, che percepiva il sussidio dal dicembre 2019 nonostante la condanna definitiva, finora ha ricevuto dallo Stato 7.420 euro. Santapaola ne ha presi 8.500, mentre Bontempo Scavo appena 5.600 euro. Ma oltre a loro sono 25 i boss o i parenti dei boss, tra cui diverse mogli, che percepivano il reddito di cittadinanza nonostante le condanne scovati dalla Guardia di finanza di Messina, a seguito di una lunga e complessa indagine coordinata dalla procura guidata da Maurizio De Lucia. Per loro è scattato il sequestro per un ammontare complessivo di 330mila euro. Tutti accusati di aver omesso – nella richiesta per ottenere il sussidio – le condanne definitive a loro carico o a carico dei loro familiari. Il Rdc viene infatti erogato anche singolarmente, ma sulla base del reddito dell’intero nucleo familiare. Non lo può percepire il nucleo in cui risultino, per esempio, cittadini condannati per mafia.
L’indagine, guidata dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e dalla pm Anita Siliotti, affonda le radici quasi agli esordi del sussidio voluto dal governo nel 2019. Le richieste del reddito sono infatti state subito presentate da parte di alcune delle più importanti famiglie mafiose di tutto il messinese, dal clan dei Bontempo-Scavo, uno dei più noti della mafia dei Nebrodi, ai clan di Santa Lucia Sopra contesse, Giostra, Camaro e Mangialupi, dal nome dei quartieri più degradati e a più alta densità mafiosa di Messina, fino a Giardini e al catanese, dal quale provengono i nipoti del boss Nitto Santapaola, che hanno attivato una cellula sullo Stretto.
Si è precipitata a richiedere il Rdc appena convertito in legge a marzo del 2019 e da lei percepito già dall’aprile successivo, raggiungendo la cifra di 17.733 euro, anche Floriana Ro’, moglie del boss di Giostra, Giuseppe Mulè, detto “culo nero”, morto in carcere, e condannata per mafia in via definitiva anche lei. Si è invece attardata Vincenza Celona, che ha percepito il reddito solo dal luglio del 2019, raggiungendo la cifra di 13.461 euro. Per la Guardia di finanza si è scordata di dichiarare di essere la moglie, e quindi nello Stato di famiglia, di Raimondo Messina, boss di Santa Lucia sopra contesse, in carcere al 41 bis. Attualmente al 41 bis è ristretto anche Gaetano Nostro, marito di Giuseppa Marino, che ha percepito finora 11.914 euro. Un sussidio pubblico per quei nuclei familiari che avevano cercato un reddito altrimenti con estorsioni, usura, traffico di droga, pure voto di scambio e maltrattamento di animali usati per lotte clandestine. In 25, quindi, hanno percepito dallo Stato una somma complessiva di 330mila euro stando alle stime dei finanzieri di Messina. Su richiesta della procura il tribunale ha predisposto il sequestro preventivo dei capitali equivalenti, mentre per il reato di illegittima percezione del Reddito di Cittadinanza è prevista la reclusione da 2 a 6 anni.