La ricerca non ferma la sua battaglia contro il cancro. E nonostante la pandemia piccoli e a volte grandi passi messi a segno. Come quello di “pedinare” letteralmente un tumore come quello ovarico, per seguirne l’evoluzione, ottenendo in ogni momento informazioni molecolari dettagliate. Il tutto non con mezzi invasivi, ma con un semplice prelievo del sangue. È l’impresa messa a segno da un team di scienziati italiani e si chiama “biopsia liquida”. Un risultato ottenuto grazie al sequenziamento del Dna presente nel sangue per intercettare le tracce della presenza tumorale, identificare prima le recidive, e verificare la risposta alle terapie.

Lo studio, appena pubblicato sulla rivista scientifica americana Clinical Cancer Research, è stato condotto da ricercatori del Dipartimento di oncologia dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, guidato da Maurizio D’Incalci, in collaborazione con i medici dell’ospedale San Gerardo di Monza (Università di Milano Bicocca), e i ricercatori dell’università di Padova e dell’Harvard Medical School di Boston.

“Il tumore epiteliale maligno dell’ovaio – spiega D’Incalci – è una patologia molto complessa caratterizzata da una forte instabilità del proprio genoma. A oggi sono disponibili molte informazioni sulle caratteristiche molecolari della malattia all’esordio, mentre sappiamo poco o nulla sulle caratteristiche della malattia al momento della recidiva, quando diventa progressivamente resistente alla terapia farmacologica. La biopsia liquida basata sulla misura del Dna tumorale circolante nel sangue ci permette invece di seguire l’andamento della malattia e la risposta alle terapie. La metodica permette di anticipare la diagnosi di recidiva di molti mesi rispetto ai metodi standard, come la misura del CA-125 o gli esami radiologici e, quindi, oltre al vantaggio di non essere invasivo, risulta molto più sensibile”.

Lo studio è stato reso possibile grazie al finanziamento della Fondazione Alessandra Bono Onlus e di Airc. I tumori dell’ovaio, illustra D’Incalci, “sono molto eterogenei, ma nella maggioranza di essi esistono delle alterazioni cromosomiche che permettono di distinguere il Dna delle cellule tumorali da quello delle cellule normali”. Queste ricerche, precisa Sergio Marchini, che guida l’Unità di genomica traslazionale dell’Istituto Mario Negri, “sono state possibili grazie allo sviluppo di nuove tecnologie per il sequenziamento del Dna e all’utilizzo di sofisticati algoritmi di analisi bioinformatiche messi a punto dall’Unità che dirigo, che permettono di riconoscere le tracce del Dna tumorale presente nel sangue con una elevatissima sensibilità”.

La ricerca è il frutto della collaborazione e dell’integrazione di competenze di molti giovani biologi, patologi, bioingegneri, informatici e oncologi ginecologi. Molti giovani medici specializzandi, guidati da Robert Fruscio e Fabio Landoni dell’università Bicocca e ospedale San Gerardo di Monza, hanno partecipato “con entusiasmo” alla ricerca, dice il team. “Grazie all’alta sensibilità e riproducibilità della metodica – sostiene Marchini – sarà anche possibile decidere se fare o meno una terapia medica in quei casi di tumori diagnosticati in fasi iniziali che permettono una rimozione apparentemente completa del tumore”. “Abbiamo già avuto la richiesta di collaborazione da alcuni centri oncologici italiani ed esteri – conclude D’Incalci – per applicare questa metodica in pazienti con tumori ovarici e questo ci consentirà di verificare su ampie casistiche l’impatto dell’applicazione della biopsia liquida sull’efficacia dei trattamenti in pazienti con tumori ovarici”.

L’abstract dello studio

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Coronavirus, la conferma su Science: chi si è infettato ha un’immunità per almeno 8 mesi

next
Articolo Successivo

Boom di casi per la variante inglese? Il virologo Clementi: “È un’ipotesi. Ora velocizzare le vaccinazioni. Monoclonali? Anche come profilassi”

next