Una decisione, quella dei giudici di Istanbul, che segue un'altra condanna decisa il 21 dicembre dal tribunale di Diyarbakir ai danni dell'ex deputata del partito filo-curdo Hdp, Leyla Guven, che dovrà scontare 22 anni e 3 mesi di prigione per "associazione con un’organizzazione terroristica armata" e "propaganda terroristica". Ieri la Corte di Strasburgo ha anche ordinato a Paese di Erdogan la scarcerazione del leader curdo Selahattin Demirtas, in prigione da ormai 4 anni
Oltre 27 anni di carcere all’ex direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dündar, con l’accusa di aver aiutato un gruppo terroristico e di spionaggio. La giustizia turca torna ad abbattersi contro gli oppositori del regime e la stampa non allineata. Il Tribunale di Istanbul ha così messo la parola fine sulla vicenda che ha coinvolto il giornalista turco, fuggito in Germania nel 2016 dopo essere finito in carcere nel novembre 2015, che aveva pubblicato le immagini di mezzi dell’intelligence di Ankara che attraversavano il confine con la Siria per rifornire di armi i combattenti islamisti impegnati nella guerra civile contro Bashar al-Assad, in quel territorio ribattezzato poi dai media “l’autostrada del jihad” a causa dei numerosi passaggi di combattenti fedeli a Isis, al-Qaeda e altre fazioni jihadiste della regione.
Nello specifico, Dundar è stato condannato a 18 anni e 9 mesi per “rivelazione di informazioni riservate a scopo di spionaggio” e a 8 anni e 9 mesi per “sostegno all’organizzazione terroristica” di Fethullah Gülen, che Ankara accusa di essere l’ideatore del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016. All’epoca dello scoop sul tir carico di armi dei servizi segreti inviato in Siria, alla vigilia delle elezioni del giugno 2015, il presidente Recep Tayyip Erdogan minacciò che il giornalista avrebbe pagato un “caro prezzo”. Tra il 2015 e il 2016, il reporter era stato detenuto per 92 giorni insieme al caporedattore di Ankara del suo quotidiano di opposizione laica, Erdem Gül. Il loro rilascio giunse a seguito di una decisione della Corte costituzionale che riscontrò una violazione della loro libertà personale e della libertà di stampa. Lo scorso ottobre un tribunale locale ne aveva inoltre confiscato i beni e congelato i conti bancari in Turchia.
Una decisione, quella dei giudici di Istanbul, che segue un’altra condanna decisa il 21 dicembre dal tribunale di Diyarbakir, nel sud-est del Paese, ai danni dell’ex deputata del partito filo-curdo Hdp, Leyla Guven, che dovrà scontare 22 anni e 3 mesi di prigione per “associazione con un’organizzazione terroristica armata” e “propaganda terroristica”. Sorte simile a quella toccata ad altri esponenti della terza forza politica nel Parlamento di Ankara, come l’ex leader e candidato alle Presidenziali, Selahattin Demirtas. Guven era stata dichiarata decaduta dalla carica di parlamentare e privata dell’immunità lo scorso giugno e nei suoi confronti è stato emesso un mandato d’arresto. Si tratta dell’ennesimo colpo inflitto all’Hdp, dopo il commissariamento di decine dei Comuni che governava nelle regioni a maggioranza curda del sud-est e l’arresto di molti dei suoi esponenti principali.
E sulla situazione di Demirtas, in carcere da ormai 4 anni con accuse legate al terrorismo, si è espressa ieri anche la Corte di Strasburgo che ha ordinato alla Turchia la liberazione del leader curdo, riscontrando la violazione di diversi suoi diritti. I giudici hanno stabilito che la sua detenzione, cominciata il 4 novembre 2016, “ha avuto anche l’obiettivo di comprimere il pluralismo e limitare il dibattito politico”. Inoltre la Corte ritiene che i tribunali turchi non abbiano fornito alcuna prova o informazione “che la detenzione dell’ex capo del partito pro curdo sia stata giustificata e che quindi non c’è un sospetto ragionevole che abbia compiuto i reati di cui è accusato”. Nella sentenza i giudici hanno anche stabilito che la Turchia ha violato il diritto alla libertà d’espressione di Demirtas, oltre che il suo diritto a partecipare alla vita politica come parlamentare e capo di un partito politico di opposizione.
Alla decisione della Corte ha replicato il presidente Erdogan: “La Corte europea dei diritti umani non può decidere al posto dei nostri tribunali – ha detto – È inaccettabile” che si pronunci in favore di imputati “responsabili per la morte di molte persone”. Inoltre, il sito Internet della Corte Europea dei Diritti Umani, “dopo la pronuncia ieri della sentenza relativa al caso di Selahattin Demirtas contro la Turchia”, è stato “vittima di un attacco informatico di grande portata che l’ha reso temporaneamente inaccessibile”, fanno sapere dal tribunale che fa capo al Consiglio d’Europa. La Corte deplora “vivamente questo grave incidente. I servizi competenti stanno mettendo in campo ogni sforzo per rimediare a questa situazione il più presto possibile”.