Conoscevo uno di quei numeri.
Purtroppo più di uno.
Un parente, il genitore di un amico, un vicino.
Uno di quelli la cui somma, a fine giornata, viene comunicata con la dicitura “in diminuzione rispetto a ieri”.
Come se 522, 417, 318 morti, tutto sommato, fossero un dato a cui guardare con soddisfazione.
Se conosci uno di quei numeri, se conosci le loro storia, il dolore che si lasciano dietro, come se ne sono andati, beh, credimi, la prospettiva cambia.
Quel numero è tua mamma che viene portata via da due infermieri bardati come astronauti e di cui tu non ricorderai il volto. Quello che non dimenticherai mai, è lei, che prima che l’ambulanza parta ti dice: “Mi porti un pigiama buono?”, perché la sua dignità e il senso del pudore non può essere indebolito neanche da un virus bastardo.
E, tu quel pigiama, non glielo darai mai.
Perché non la vedrai più.
La sentirai al telefono, poco prima che ti chiamino per dirti che non ce l’ha fatta, capendo faticosamente poche parole filtrate da un casco: “Voglio tornare a casa per Natale”.
Vedrai solo una bara, sapendo che non le hai potuto mettere neanche un vestito.
Ti domanderai, per il resto della tua vita, se non avrà freddo, sepolta sotto un metro di terra.
Quel numero è una casa da vuotare con il suo insopportabile carico di ricordi. Tutte quelle foto, ciascuna una fitta al cuore. I suoi vestiti. Le sue cose in bagno. Le ricevute sul mobile vicino alla porta. Le chiavi nella ciotola di ceramica che le hai fatto in quinta elementare. Il libro che stava leggendo. La lista della spesa sul frigo. I ricordi dei suoi viaggi nella vetrinetta.
Ti chiederai se avresti potuto fare qualcosa. Proteggerla meglio. Evitarle una fine così triste. Che tutte le fine sono tristi, per carità. Ma non così. Così è troppo.
E se sei tra quelli che, non dico non ha vissuto in prima persona un’esperienza del genere, ma non l’ha neanche sentita raccontare da qualcuno vicino, sentiti fortunato, davvero fortunato.
Quello che non puoi fare è girarti di spalle pensando che la cosa non ti riguardi.
Vaccinarsi non significa solo fare un passo per ritrovare la libertà di abbracciarsi, viaggiare, andare a un concerto, respirare.
Vuol dire impegnarsi per non essere anche involontariamente motivo di così tanto dolore. Perché nessuno dovrebbe sentire quello che si prova se uno di quei numeri non è soltanto un numero.
Ma un nome. Una storia. Una vita.